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Processo da remoto: il no dell'avvocatura
Notizia di 10 giorni fa: lo scorso 28 maggio il Tribunale di Napoli ha deciso che nel caso della piccola Fortuna Loffredo e di suo padre Pietro, il diritto all’oblio non vale. Parliamo della bambina uccisa nel 2014, quando aveva 6 anni, scaraventata giù dall’ottavo piano dopo essersi opposta all’ennesimo abuso sessuale, nella più disumana delle periferie degradate di Napoli, il “Parco Verde”. Su di lei è in arrivo un film, il papà di Fortuna ha cercato inutilmente di bloccarne l’uscita. Il giudice ha respinto la richiesta: il diritto all’oblio invocato dal padre di quella vita innocente e martoriata non pretenderà certo di oscurare lo spettacolo. Perché appunto le storie anche tragiche, se si incrociano con l’attività giudiziaria, sono ormai lo spettacolo più a buon mercato. Il diritto all’oblio deve piegarsi, inchinarsi, retrocedere di un passo e farsi da parte. Inevitabile. Dal Garante privacy un argine (almeno) online Anche per un motivo banalissimo: il diritto all’oblio non esiste. Non è definito, in termini tassativi, nel nostro ordinamento. Comincia ad essere affermato in alcune sentenze, che però non formano ancora una giurisprudenza robusta. A presidiarne almeno uno dei versanti più delicati, relativo al web, è però la tutela della privacy, e quindi il Garante per la protezione dei dati personali. L’attività dell’authority è intensa e efficace, ma ha appunto il limite di incidere essenzialmente sull’informazione on line. Regola la complicata materia della facilità con cui si rintracciano gli articoli relativi ai casi giudiziari. Lo fa da anni, in un incrocio di pronunce con la Corte costituzionale, e sempre con lo sguardo rivolto a un principio: qualora una vicenda giudiziaria si concluda in modo favorevole alla persona precedentemente accusata di un reato, si può ottenere la deindicizzazione degli articoli risalenti all’indagine, ma non la loro cancellazione. La testata on line che aveva raccontato la storia, e ancora conserva i vecchi articoli, deve fare in modo da renderli irrintracciabili attraverso i motori di ricerca. Ma naturalmente chi fosse in possesso della “url”, l’indirizzo internet preciso di quell’articolo, dovrà poterlo leggere ancora. Né potrà essere preclusa la ricerca operata dal lettore direttamente con il motore interno al sito della testata.Il garante lo ha ribadito in un provvedimento reso pubblico lo scorso 27 aprile, con il quale ha respinto la richiesta di “cancellazione” presentata da un ex imputato di appropriazione indebita. L’accusa era risalente al 1998, il reato è stato nel frattempo dichiarato estinto dalla Cassazione e l’ex imputato, come riferisce il Garante, «riteneva che l’articolo gli recasse pregiudizio e non fosse più attuale». Niente da fare, reclamo respinto visto che l’articolo era stato già «deindicizzato» dal’editore. Al quale l’authority ha solo inflitto una sanzione di 20.000 euro «per non aver fornito risposta all’interessato, come previsto dal Regolamento». L’emblematica decisione del Garante ha radici precise nella giurisprudenza sia costituzionale che di legittimità: il caso definito a fine aprile riecheggia direttamente l’ordinanza del 19 maggio 2020, numero 9147, della Cassazione (prima sezione civile).Ma come si vede, la questione dell’on line, del diritto all’oblio in rete, è solo una parte del problema. La reiterazione dei fatti, spesso operata dai media con sadica voracità, può avvenire in tante altre forme: con il cinema, appunto, negli show televisivi, in quella carta stampata che quasi mai dà uguale risalto a indagini e assoluzioni. Ma certo, la centralità dell’informazione on line non solo è già visibile ma è destinata a crescere. Proposte normative e appelli istituzionali E non a caso, proprio nelle scorse settimane, anzi quasi con perfetta coincidenza temporale rispetto al provvedimento del Garante privacy, i parlamentari più impegnati del fronte garantista hanno depositato, sul diritto all’oblio, emendamenti alla riforma del processo penale. È il caso del responsabile Giustizia di Azione Enrico Costa, che punta a introdurre l’obbligo di cancellazione.Certo è innegabile che in gioco vi siano anche la «utilità sociale» e il «valore di documento storico» degli articoli d’archivio, come hanno affermato il Garante nella propria recente decisione e la stessa Suprema corte. Eppure è difficile non mettere sul piatto della bilancia anche la richiesta di contrastare, proprio grazie al diritto all’oblio, le propaggini più feroci del cosiddetto processo mediatico. L’attuale sottosegretario alla Giustizia Francesco Paolo Sisto ne ha parlato a propria volta a inizio maggio in occasione della sua prima visita, nella nuova veste istituzionale, al plenum del Consiglio nazionale forense. Ha messo appunto in relazione il «diritto all’oblio» con «il processo mediatico che cancella il diritto costituzionale alla presunzione d’innocenza». Verna: bilanciamento tra trovare caso per caso E come si fa a trovare il punto di equilibrio? «Non si può che individuare di volta in volta il bilanciamento fra l’interesse pubblico e l’oblio di vicende lontane nel tempo invocato dalla persona», ricorda al Dubbio il presidente dell’Ordine dei giornalisti Carlo Verna, «ma è impensabile che una legge possa indicare il punto esatto e unico di questo bilanciamento: deve necessariamente essere trovato di volta in volta dal giornalista, secondo i principi della nostra deontologia, vale a dire la continenza e appunto la rilevanza sociale».È il metro da considerare anche per il giudice sempre più spesso chiamato a pronunciarsi da chi lamenta l’esposizione per fatti lontani. «Ma non può essere trattato come altri il caso di chi magari si candida a sindaco in una grande città e si lamenta perché i giornali tirano fuori processi in cui è stato coinvolto anche molto tempo prima», nota Verna, «come si fa a disconoscere l’interesse pubblico, in casi del genere?».I complessi incroci fra giurisprudenza costituzionale, di legittimità e delle corti internazionali in materia di diritto all’oblio e privacy sono raccolti in un dossier prodotto a fine dicembre 2020 dal Servizio Studi della Consulta (“L’oscuramento dei dati personali nei provvedimenti della Corte costituzionale”, a cura di Paola Patatini e Fulvio Troncone). Di sicuro, spiega ancora Verna, «io sono contrario a un sacrificio della libertà di stampa: il Testo unico della nostra deontologia contiene indicazioni chiare, e direi sufficienti». Quel ruolo che dovrebbe inorgoglire i giornalisti Può darsi che il presidente dei giornalisti abbia ragione. Può darsi che proposte come quelle di Costa e di Forza Italia sulla cancellazione integrale dei vecchi articoli on line possa infrangersi su una sanzione di incostituzionalità. Ma è innegabile che l’abuso un po’ sadico di vicende lontane, in quel modo «inopportuno» di cui parla lo stesso Verna, sia fra le patologie sociali più gravi della nostra giustizia. E allora, sembra chiaro anche che per curarla serve una grande opera di riscatto culturale, una riscoperta consapevole dell’equilibrio, della presunzione d’innocenza, del fine rieducativo della pena che mal si coniuga con il ludibrio perenne. Ed è anche chiaro come la tutela della persona umana dal saccheggio mediatico sia responsabilità dei giornalisti prima ancora che dei giudici. Continenza, rispetto del principio all’interesse pubblico, senza distorcerlo: ecco. Il rigore, la civiltà, l’integrità delle istituzioni rappresentative, della democrazia e prima di tutto della dignità, passano per le mani dei giornalisti. Riuscissimo ad esserne davvero consapevoli, dovremmo anche sentircene orgogliosi.