«La futura attività del Consiglio sarà necessariamente segnata dalla decisione che prenderemo. Credo che l’ambizione fosse quella di superare le crisi reputazionali che hanno investito l’organo di governo autonomo e quindi di restituire autorevolezza e credibilità al Consiglio. Questa è una delle ragioni per cui credo che l’auspicio del Presidente della Repubblica, presidente del Consiglio superiore, di arrivare ad una proposta unitaria avrebbe dovuto essere ascoltata» e quindi sarebbe stato necessario «uno sforzo ulteriore di mediazione.

E pur apprezzando il lavoro che è stato compiuto, entrambe le proposte di modifica del testo unico a mio giudizio esprimono un difetto di autorevolezza del Consiglio superiore della magistratura». È duro il giudizio del vicepresidente del Csm Fabio Pinelli sulle due proposte in campo per le nuove regole sulle nomine. Regole sulle quali si voterà il 3 dicembre, grazie al rinvio che consentirà di partecipare al voto anche al togato Andrea Mirenda e il laico M5S Michele Papa, assenti al plenum di ieri per pregressi impegni, ma sulle quali il giudizio del numero due di Palazzo Bachelet è tranchant, a prescindere dalla scelta.

Due le proposte, la prima appoggiata dai gruppi di Area e Magistratura indipendente, nonché dalla Prima presidente della Cassazione Margherita Cassano e dal procuratore generale Luigi Salvato, la seconda dai togati di Unicost, Magistratura democratica e dagli indipendenti Andrea Mirenda e Roberto Fontana. E la scelta arriverà in contemporanea con il bando per 55 posti direttivi e 83 semidirettivi, dato che rende ancora più evidenti le ricadute immediate della decisione. Pinelli ha dichiarato la propria astensione, sottolineando che, comunque vada, il rischio è quello di «mortificare il talento, la capacità e il merito» dei magistrati. E pur essendo comprensibile la volontà di redimersi dagli errori del passato, «stiamo dicendo in qualche modo al Paese che non ci fidiamo di noi stessi - ha aggiunto -, dell’uso che abbiamo fatto della discrezionalità e ci guardiamo vicendevolmente con sospetto e con diffidenza e che non ci riteniamo capaci di esercitare col giusto equilibrio questo potere. Se esiste un modo per riguadagnare la fiducia, non è certo la rinuncia ai nostri doveri. Al contrario, l’unica maniera è la responsabilità, il lavoro onesto, serio e umile».

A presentare la proposta A il togato di Area Maurizio Carbone, che ha sottolineato «la necessità di avviare una riforma che possa garantire una maggiore trasparenza, leggibilità e prevedibilità nelle procedure di nomina» , in un contesto che ha visto un crescente malcontento interno, alimentato anche dalla vicenda dell’Hotel Champagne e dalle sue implicazioni sulle nomine. Lo scopo è, da un lato, «preservare l’autonomia valutativa del Csm» e dall’altro evitare di «irrigidire oltremodo la discrezionalità amministrativa di un organo di rilevanza Costituzionale», cosa che rischierebbe «di delegare di fatto, ad altri soggetti, in primo luogo ai dirigenti degli uffici, con i loro rapporti informativi, i poteri di scelta, relegando il Csm a un ruolo quasi di “presa d’atto” di carriere magari pre- confezionate, così svilendo le garanzie costituzionali che sono alla base del sistema di governo autonomo, incentivando le distorsioni che derivano dal cosiddetto “carrierismo”». Per tale motivo si è pensato ad un sistema che, pur introducendo vincoli, valorizzerebbe l’esperienza giudiziaria e attitudinale in modo preciso, differenziando gli indicatori principali e sussidiari per le nomine. «Non credo che l’autorevolezza del Consiglio possa recuperarsi solo attraverso la previsione di ulteriori autovincoli - ha concluso Carbone -, ma deve passare soprattutto attraverso la coerenza e la trasparenza dei comportamenti di chi è chiamato a ricoprire il delicato incarico di componente del Consiglio».

Una proposta condivisa anche dalla togata di Mi Bernadette Nicotra, secondo cui «anche con i punteggi si possono fare i magheggi», introducendo, paradossalmente, «una discrezionalità illimitata» . A presentare la proposta B, invece, la togata di Md Domenica Miele, che ha criticato l’attuale sistema a maglie larghe, che permette interpretazioni flessibili dei parametri, portando a “torsioni” delle norme fino quasi «“cucire il vestito addosso” al candidato che si era scelto di proporre». Il tentativo è quello di recuperare il modello di magistratura orizzontale voluto dai costituenti, dove i magistrati si distinguono per funzioni e non per grado. La proposta punta dunque a rendere più leggibili e prevedibili le decisioni sulle nomine, riequilibrando l’attività del Consiglio. L’introduzione dei punteggi, ha spiegato Miele, «non sopprime la discrezionalità», ma la valorizzerebbe, perché «operando scelte a monte, con l’individuazione dei criteri ai quali dare più o meno peso, abbandonando il criterio della scelta a valle, calibrata spesso sul singolo aspirante ha sottolineato -, ci si assume la responsabilità alta di operare scelte valoriali di fondo, di sistema. Certo, non è la panacea di tutti i mali», ma «un tentativo per rendere chiare, leggibili, prevedibili e soprattutto coerenti le decisioni consiliari». Salvaguardando la discrezionalità consigliare, che però «deve tornare ad essere, appunto, discrezionalità, scelta sui valori, e non sulle persone».

A intervenire nel dibattito anche il gruppo di Unicost, che ha evidenziato come la necessità di stabilire a monte le regole, prima della conoscenza dei candidati, garantisca trasparenza e prevedibilità, evitando che le scelte siano influenzate dai singoli candidati, evidenziando, inoltre, il “rischio” che la proposta A favorisca una separazione delle carriere, penalizzando chi ha esperienze variegate. E valorizzare la storia professionale del magistrato, premiando le valutazioni positive, ha sottolineato l’indipendente Fontana, contribuirebbe a contrastare il carrierismo e a promuovere una valutazione basata sulla professionalità complessiva, piuttosto che sulla mera anzianità.