Tutti d’accordo: il correntismo ha fatto diventare la discrezionalità mero arbitrio. Eppure, il Csm rimane ancorato al passato, con qualche piccolo correttivo apportato con la proposta a firma Area-Magistratura indipendente, uscita vincente dal lunghissimo plenum straordinario tenutosi ieri. Sedici i voti per la proposta A (che salva la discrezionalità), contro i 14 accordati dalla proposta B (che prevedeva i punteggi). Astenuto il vicepresidente Fabio Pinelli, che nella scorsa seduta aveva criticato entrambe le proposte, espressione «di un difetto di autorevolezza del Csm».

La discussione di ieri si è sviluppata attorno ai trenta emendamenti presentati alle proposte, con l’approvazione di quello a firma del procuratore generale Luigi Salvato, che “salva” i magistrati di legittimità. Una modifica sollecitata dai magistrati di Cassazione, che lunedì avevano lamentato, con una lettera, una discriminazione che penalizzava le toghe con esperienza variegata. Ma a colpire è stato il breve intervento della laica di centrodestra Isabella Bertolini, che pur affermando di non essere soddisfatta da nessuna delle due proposte ha dichiarato di voler «correre il rischio di una strada nuova piuttosto che avallare una convergenza politica innaturale tra due correnti che hanno animi e principi totalmente divergenti (Area e Mi, ndr), ma che oggi siglano un patto di cui non comprendo e non voglio comprendere ragioni ed obiettivi, ma di cui vedremo presto gli sviluppi». Parole rispedite al mittente dal togato di Area Tullio Morello: «Nessun patto scellerato - ha sottolineato -, ma solo senso istituzionale di due parti per attenersi al richiamo del Capo dello Stato (che aveva invocato una proposta unitaria, ndr). Non è disdicevole per Area votare con Mi - ha aggiunto -, così come non è disdicevole per Fratelli d’Italia votare con Md, che attacca sui giornali un giorno sì e un altro pure».

Ad appoggiare la proposta vincente, oltre alle due correnti, anche la Prima presidente della Cassazione Margherita Cassano, il procuratore generale Salvato e il laico di Italia viva Ernesto Carbone, secondo cui la proposta B avrebbe ridotto il Csm a mero ufficio personale della magistratura. A schierarsi con la seconda, invece, i togati di Unicost, Magistratura democratica, gli indipendenti Andrea Mirenda e Roberto Fontana, i laici di centrodestra (pur non soddisfatti, ma orientati verso “il male minore”), quello in quota M5S Michele Papa e quello Pd Roberto Romboli. E la scelta arriva in contemporanea con il bando per 55 posti direttivi e 83 semidirettivi, dato che rende ancora più evidenti le ricadute immediate della decisione.

Duro l’intervento dell’indipendente Mirenda: «La politica non ha voluto porre rimedio alle degenerazioni arcinote. La legge Cartabia aveva in animo tutto, tranne che stroncare il nominificio del correntismo. Molto avrebbe potuto fare e invece ha partorito un topolino. E questa legge, nella sua scientifica ingestibilità - ha aggiunto - è stata scritta, guarda caso, dalle ligie falangi di magistrati fuori ruolo, esecutrici del progetto gattopardesco di chi li ha collocati. Solo la proposta numero 2 ha raccolto l’unico assist degno di nota di questa infelicissima legge: la scelta di operare una graduazione valoriale a monte in quella messe arruffata di parametri».

Ma non solo: per arrivare a queste due proposte contrapposte il Csm ci ha messo un anno in più rispetto al tempo concesso, «a riprova di come le nomine siano il boccone ghiotto su cui si forma il consenso delle correnti». E proprio per tale motivo, ha aggiunto, sarebbe stato necessario ridurre la discrezionalità, «di cui abbiamo fatto un uso sovente, non sempre, per carità, ma tutt’altro che di rado, discutibile». Con la vittoria della proposta A, ha concluso, «i due stakeholder del nominificio malato portano a casa una pseudo riforma del Testo unico che, garantendo loro le solite praterie di discrezionalità, ne manterrà saldo il pervasivo potere di condizionamento di ogni singolo magistrato. Un’occasione irrimediabilmente perduta di autoriforma a cui il Parlamento dovrà ovviare solo col sorteggio dei membri del Csm e con la rotazione turnaria dei dirigenti».

Il togato di Unicost Marco Bisogni ha paragonato i sostenitori della proposta A ai «negazionisti del cambiamento climatico, perché si ostinano a mantenere regole che hanno dimostrato la loro inadeguatezza». Critico anche Fontana, secondo cui con la proposta vincente «si riproporranno le stesse polemiche che continueranno a logorare il Consiglio». Ma secondo Area e Mi, ciò costituisce un ostacolo alla realizzazione del progetto politico che vuole la separazione delle carriere, in effetti citato dal laico Felice Giuffrè come chiusura del cerchio, qualora avesse vinto la proposta B. Per Edoardo Cilenti (Mi), infatti, la proposta perdente avrebbe aperto «un’autostrada al sorteggio, il che spiega il voto della componente laica di maggioranza parlamentare. Io sono contrarissimo al sorteggio e intendo con il mio voto preservare l’istituzione». E per Maurizio Carbone (Area), ridurre gli spazi di discrezionalità sarebbe stata «un’operazione cieca», che avrebbe portato «direttamente al sorteggio, alla negazione della democrazia. Le storture non possono essere superate con scorciatoie che riducono l’autorevolezza del Consiglio, snaturando un organo che ha una rilevanza costituzionale». Critica contro Mirenda e i laici di centrodestra la toga di Mi Maria Luisa Mazzola: «Certi interventi descrivono il Consiglio come un’associazione a delinquere - ha sottolineato -. Il fatto che sia successo in passato non significa che stia succedendo ancora adesso. Altrimenti ne siete parte anche voi».