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condanne
Da quando si è insediato il governo Meloni non è la prima volta che Magistratura Indipendente prova a rompere l’unità dell’Anm su temi cruciali, peraltro accusando le altre componenti dell’Anm di fare politica antigovernativa. È successo a ottobre sul caso Apostolico, si è ripetuto durante il Cdc di questo fine settimana su altri due temi.
Il parlamentino dell’Anm ha infatti approvato due documenti – uno relativo all’informativa di Nordio al Parlamento e l’altro in riferimento alle dichiarazioni del vice presidente del Consiglio superiore della magistratura, Fabio Pinelli – entrambi non sottoscritti dalla corrente conservatrice. Con il primo elaborato - “Una relazione problematica” – rispetto a quanto detto dal Guardasigilli, le toghe hanno voluto riaffermare «la necessaria difesa e salvaguardia dello strumento delle intercettazioni», ribadire le preoccupazioni per l’abrogazione del reato di abuso di ufficio, tutelare la «comune cultura della giurisdizione, che è essenziale per tutti gli appartenenti all’ordine giudiziario, siano essi giudici che pubblici ministeri, quale prima garanzia dell’indagato».
Nel secondo documento “Parole ed equilibrio”, il “sindacato” delle toghe ha stigmatizzato quanto detto dal numero due di Piazza Indipendenza: «Stupiscono le recenti dichiarazioni del Vicepresidente del Csm a proposito del supposto “deragliamento” del precedente Csm: dichiarazioni “straordinarie”, che, anche nella più benevola lettura, dimenticano che gli ordini del giorno del Csm sono firmati dal Presidente della Repubblica, circostanza che chi svolge il ruolo di vicepresidente da oltre un anno conosce bene».
Ebbene, entrambe le relazioni non sono state condivise da Mi. Ennesima dimostrazione di collateralismo governativo oppure rifiuto di far apparire l'Anm alla stregua di un partito politico, come sostiene la stessa Mi? Lo abbiamo chiesto agli esponenti degli altri gruppi associativi.
Rocco Maruotti, componente del Cdc per AreaDg, ci spiega nel dettaglio come si sono svolti i fatti: «Dopo una discussione in Cdc che aveva occupato l’intera giornata di sabato sui contenuti della relazione del ministro Nordio sullo stato della Giustizia e sulla conferenza stampa del vice presidente del Csm Pinelli, dibattito nel quale erano intervenuti, con accenti anche estremamente critici, diversi esponenti di Mi, stranamente, domenica mattina, alla riapertura dei lavori e quando si doveva semplicemente votare un documento unitario, che anche i colleghi di Mi avevano contribuito a scrivere, ci hanno fatto sapere che ritiravano la loro firma da quel documento, accampando come pretesto un trafiletto pubblicato sul Fatto Quotidiano che dava conto della posizione espressa dagli esponenti di un altro gruppo, Magistratura democratica, nel corso del dibattito di sabato, dibattito peraltro pubblico e che si poteva seguire in diretta su Radio Radicale».
Continua Maruotti: «In molti abbiamo avuto la sensazione che nella notte fosse successo qualcos’altro che aveva fatto cambiare idea ai colleghi di Mi. Evidentemente non sempre la notte porta consiglio».
Ma cosa sarebbe successo? Forse gli esponenti di Mi si sono confrontati con il nuovo segretario, Claudio Galoppi, che non era presente al Cdc, a differenza del suo predecessore Angelo Piraino, che frequentava i corridoi della Cassazione in queste occasioni? «Ad ogni modo – ha continuato Maruotti - è sembrata a tutti una giustificazione risibile e lo abbiamo fatto presente, con accorati appelli ai colleghi di Mi a rivedere la loro posizione, nella consapevolezza dell’importanza di una posizione unitaria dell’Anm su vicende importanti come quelle che erano in discussione e su temi come quello delle risorse e della riforma della Giustizia di cui ci stavamo occupando».
La risposta? «Tradiva la vera ragione di quell’ingiustificabile “giravolta”: il motivo reale, ci è stato detto dai colleghi di Mi, era rappresentato dalla non condivisione di quella che è stata definita “la politica antigovernativa dell’Anm” che, come ha detto nel suo intervento Enrico Infante di Mi, rischia di trasformare l’Anm in un “partito politico di opposizione”. Abbiamo risposto che l’Anm non è un partito, né di opposizione né di maggioranza, ma un’associazione il cui scopo, sancito dall’art. 2 dello Statuto, è quello di “garantire le funzioni e le prerogative del potere giudiziario, rispetto agli altri poteri dello Stato” e di “dare il contributo della magistratura nella elaborazione delle riforme legislative” e questo è quello che anche questa volta l’Anm ha fatto, con il sostegno di tutte le correnti, ad eccezione di Mi, che con questa scelta ha, a nostro giudizio, lanciato al Governo un messaggio chiaro e forte di collateralismo. Non credo che i colleghi, neppure quelli iscritti a Mi, abbiano condiviso questa posizione».
Al giudizio molto severo dell’esponente di Area si aggiunge quello di Stefano Celli, componente del Cdc in quota Magistratura democratica: «Sull’ipotesi di collateralismo al governo, credo che al di là delle intenzioni dei singoli contino i fatti: e i fatti ci dicono che Mi non ha voluto votare neppure il documento di serena critica al ministro, nonostante lo stesso contenesse le stesse critiche formulate dal documento di Mi. Basta mettere i due documenti uno di fianco all’altro». Per Maria Rosaria Savaglio, segretario nazionale Unicost, «l’estrema prudenza da parte di Mi nel muovere qualsivoglia critica alla maggioranza di governo è un dato di fatto. Accusano chi non adopera la medesima prudenza di “far politica”, ma anche sottrarsi al dibattito sulle riforme giuridiche ed istituzionali è una posizione politica». Invece il presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia smorza i toni: «Il dato importante, su cui mi sento di porre l’accento, è quanto emerso dal dibattito, ovvero i contenuti unitari che sono stati esposti durante i lavori del Comitato da parte di tutti i partecipanti».