Non lo mollano. Giovanni Toti non si è dimesso, non ha alzato bandiera bianca, e resta in manette domestiche. Fino a quando? Non si sa. Anzi, i giudici del tribunale del Riesame, che hanno respinto la richiesta di libertà o di alleggerimento della custodia cautelare, hanno ironizzato sui tempi di detenzione. Starà rinchiuso finché sarà necessario, scrivono.

L’avvocato Stefano Savi sta già pensando alla Cassazione. Contando forse anche sulla distanza chilometrica da Genova, perché a volte cambiare aria è positivo per tutti. Per il tribunale del Riesame il governatore della Liguria è ancora pericoloso e qualora libero potrebbe ripetere all’infinito il reato di corruzione. O anche altri, magari inquinando un appalto oppure ottenendo finanziamenti per il proprio movimento, a prescindere dalle scadenze elettorali. E già, perché l’argomento usato dalla gip Paola Faggioni nei provvedimenti precedenti era ormai usurato e impresentabile.

Le prossime elezioni regionali in Liguria sono previste, almeno come scadenza naturale, alla fine del 2025. E nel frattempo, con che cosa gli imprenditori liguri potrebbero ripagare eventuali favori? I giudici Massimo Cusatti, Marina Orsini e Luisa Avanzino sono stati quindi costretti, per motivare il rischio di ripetizione del reato, ad allargare il campo. Dai favori elettorali a quelli generali. Correndo però il rischio di sentirsi rimproverare di essere ricorsi alla ricerca del “tipo d’autore” prima ancora che cercare i responsabili dei reati.

Nei confronti di Toti in effetti questo rischio c’è. Come quando i giudici, nelle trentatré pagine dell’ordinanza, mettono in discussione quella che il presidente della Regione aveva indicato, nel lungo interrogatorio durato otto ore e con 180 domande, come una propria attività di mediazione tra i diversi interessi degli imprenditori che si occupavano del porto di Genova. I magistrati non vedono traccia di questa attività di arbitro, da parte di Toti. Anzi ritengono i suoi comportamenti non quelli tipici del pubblico amministratore, ma quelli di un ”privato”, una sorta di socio occulto dell’imprenditore Aldo Spinelli.

Avrebbe dovuto mediare anche con l’armatore Gianluigi Aponte, scrivono nell’ordinanza. Il che è un po’ strano. Soprattutto perché la mediazione c’è stata, tanto che l’accordo è stato trovato, nella gestione in società del Terminal Rinfuse. Ma è possibile che l’armatore non ne sia uscito soddisfatto. Tanto che il suo quotidiano, di recente acquisito dal gruppo Gedi, il Secolo XIX, ogni giorno spara dalla prima pagina accuse sopra accuse nei confronti di Toti. Ed è sempre molto bene informato sugli atti giudiziari. Il che è anche normale, essendo il quotidiano regionale.

Ma c’è da chiedersi se nei precedenti otto anni di governo di Toti sia sempre stato così. Possibile che nessuno si sia mai reso conto di questo comportamento da ”privato” del governatore della Liguria? E dove sarebbero i soldi della corruzione? Le “utilità” sono solo politiche. E c’è una chiarissima differenza interpretativa sui comportamenti, che Toti non nega ma ritiene leciti e che non solo i pm ma anche la gip e oggi altri tre giudici considerano reati. L’ordinanza del Riesame sembra persino irridere il presidente della Regione quando ha dichiarato che in futuro si sarebbe astenuto da certe prassi, visto che queste venivano sempre interpretate dalla magistratura come attività illegali.

Che cosa vorrebbe Toti, chiedono sarcasticamente i giudici, che fosse un magistrato ogni volta a spiegargli che cosa è lecito e che cosa non lo è? Oppure vorrebbe un sorta di tutela preventiva nei confronti dei suoi atti, in quanto ricopre una carica elettiva? L’inchiesta, insistono i magistrati, non è fondata su soffiate o su sentito dire, ma su intercettazioni ambientali e telefoniche, da cui emerge la figura “… di un pubblico amministratore di rango apicale che, nel sollecitare costantemente finanziamenti per il proprio comitato elettorale, conversa amabilmente con gli stessi finanziatori di pratiche amministrative di loro interesse per le quali si impegna a intervenire presso le sedi competenti”.

È il nesso di causalità, però, quello che fino a ora né i pm né i giudici sono riusciti a dimostrare. Tanto che lo stesso Toti continua a non negare i propri comportamenti. E i giudici gli rimproverano proprio questo, il fatto di differenziare il fatto dalla sua illiceità. Fino a irriderlo, perché, come un bambino, non saprebbe distinguere il bene dal male. E per questo motivo, a quanto pare, è bene tenerlo in castigo. Almeno fino a quando, ma passerà un po’ di tempo, non sarà la Cassazione a dire la sua. Che cosa succederà nel frattempo, sul piano politico, ancora non è chiaro. Perché questa decisione pesa come un macigno.