«La politica è un valore e va preservata. Se ha perso valore per strada è bene che lo recuperi, ma non per via giudiziaria». A dirlo è Stefano Savi, difensore di Giovanni Toti. Il presidente della Liguria è ai domiciliari dall’8 maggio con l’accusa di corruzione. «Per noi non ci sono elementi per la misura cautelare», spiega, allargando il discorso anche all’ipocrisia della politica. «La politica va finanziata, tocca al legislatore mettere ordine».

L’8 luglio si terrà l’udienza davanti ai giudici del Riesame per il ricorso contro i domiciliari. Ci sono elementi concreti per ottenere la libertà?

Fino ad oggi il gip ha ritenuto sussistenti gli elementi alla base della misura cautelare, da una parte sostenendo che ci può essere un inquinamento probatorio e dall’altra, senza andare alla ricerca di elementi concreti, presumendo che se Toti tornasse a svolgere l’attività politica ricadrebbe nella commissione dei reati ipotizzati. Questo senza giustificare né l’attualità né la concretezza di questa posizione, ma semplicemente richiamando il fatto che in questo periodo sono state fatte almeno quattro campagne elettorali, per le quali sono stati raccolti fondi, e siccome sono state contestate ipotesi di corruzione, che noi riteniamo non sussistenti, potrebbe accadere anche in futuro.

Una colpa legata alla personalità?

Sì. Per noi è un’impostazione piuttosto imbarazzante, perché ha un fine mai, essendo una colpa legata all’autore. Come a dire che se uno commette un reato lo ripeterà tutta la vita.

In sostanza Toti non dovrebbe fare più politica?

Esatto, così come qualcun altro non dovrebbe fare più l’imprenditore. Noi abbiamo contestato tutto questo, e lo ha fatto anche Toti con una lettera in cui afferma di aver agito in buona fede e di aver fatto tutto senza mai tralasciare di perseguire l’interesse pubblico, di aver tentato di snellire la burocrazia, sempre nell’interesse della Liguria. Se ha sollecitato qualcuno a fare dei versamenti per la sua parte politica l’ha fatto apertamente, perché i versamenti sono stati fatti sempre in maniera tracciata, secondo quello che prescrive la legge. Non ha mai riconosciuto un nesso di causa tra gli interventi fatti e il finanziamento ricevuto, tant’è vero che gli interventi erano fatti indistintamente a favore di chi versava o avrebbe versato qualcosa e di chi invece non aveva mai versato nulla.

Toti ha scelto di non dimettersi, nonostante l’invito sia proprio questo. E ha rilanciato, convocando, autorizzato dal gip, la giunta a casa propria. Che lettura va data di questa scelta?

Effettivamente anche nell’ultimo parere del pubblico ministero si collega l’esercizio della funzione al pericolo di reiterazione dei reati, quindi si dice che se non ci sono le dimissioni l’occasione rimarrebbe. Per noi è infondato, soprattutto riteniamo necessario bilanciare da una parte le esigenze cautelari, che devono specificamente proteggere qualche cosa per un periodo di tempo determinato, e dall’altra il mandato popolare, conseguito per la seconda volta con tantissimi voti. Toti ha un ruolo da rispettare, da bilanciare con quello delle esigenze del processo penale. Questo ruolo, affidatogli da tantissimi liguri, per Toti è da difendere, naturalmente nel rispetto delle indagini. Per cui allo stato, fin tanto che non saranno esperite tutte le iniziative che il Codice ci mette a disposizione, non prenderemo in considerazione l’idea delle dimissioni: significherebbe venir meno agli impegni assunti con l’elettorato.

Ma se il rischio di reiterazione si collega all’attività politica, queste riunioni con la giunta non potrebbero essere occasione per reiterare il reato, dato che non avvengono in presenza delle forze dell’ordine?

Noi abbiamo chiesto la possibilità di fare una serie di incontri di natura politica, non amministrativa, perché lui non può esercitare in questo momento l’azione amministrativa, data la sospensione. Sono incontri che servono a fare il punto della situazione. Apprezziamo il fatto che sia stata rispettata questa investitura politica.

Il governatore ha chiarito che tutti i bonifici sono alla luce del sole e tutte le somme rendicontate con trasparenza: ma questo da solo basta a garantire che non ci sia un reato?

È un po’ l’ipocrisia della politica italiana che non vuole affrontare come si deve il problema del finanziamento alla politica. Non è che non si possa parlare di soldi, quando si parla di politica. I metodi possono essere diversi, ma bisogna distinguere bene quali sono i limiti e mettere in sicurezza coloro che fanno politica rispetto alla richiesta di fondi, che, per forza di cose, non può venir meno. Nell’attuale ordinamento c’è stata una dilatazione del concetto di corruzione, con la vendita della funzione che, se applicata estensivamente, potrebbe arrivare a dei paradossi allucinanti. Noi rivendichiamo quello che abbiamo fatto, eravamo in buona fede, ma nella nostra futura attività politica, fintanto che non ci sarà la decisione di un giudice che dica come stanno le cose, dovremo adattare le forme, non la sostanza, in modo tale da evitare che la Procura, che già si è espressa, continui a esprimersi in questo senso. Questo vuol dire semplicemente dare delle forme che siano più cautelative, intervenire quando ci si rende conto che da anni una possibilità di espansione produttiva viene bloccata dalla burocrazia, piuttosto che da inefficienze degli uffici, ma farlo con cautela. Toti è intervenuto non nel merito delle questioni, ma semplicemente per capire per quale motivo alcune decisioni importanti e anche foriere di rapporti, di posti di lavoro, fossero inspiegabilmente bloccate, oppure per capire perché non si potevano dare determinate autorizzazioni, senza interferire nel merito o forzare la mano a nessuno.

Ma la pronuncia della Cassazione sul caso Open, che coinvolge Renzi, non ha già messo dei paletti, sui finanziamenti ai partiti?

Sì, i giudici hanno chiarito che bisogna dimostrare il rapporto sinallagmatico. Le dico di più: la scorsa settimana il Riesame si è pronunciato su un provvedimento di Spezia, su una situazione parallela legata anche soggettivamente ad alcune posizioni comuni, e ha ripetuto queste cose in maniera piuttosto chiara. Ma ogni Procura applica le leggi in base a ciò che ritiene giusto fare. Quindi è anche vero che chi si trova a fare politica in questo momento deve stare molto attento, perché sì, alla fine arriva la Cassazione a dare ragione, ma nel frattempo possono succedere fatti a volte anche irreversibili. Toti continuerà a fare politica, ma “difensiva”: farà tutto quello che c’è da fare, ma come il medico sta attento a non finire in Procura, pur facendo il medico scrupolosamente e onestamente, così Toti continuerà a promuovere qualsiasi iniziativa a favore della regione Liguria con quelle cautele che gli permettono di evitare di avere di nuovo delle situazioni di questo tipo.

Ai tempi del Nordio editorialista, l’amministrazione difensiva veniva indicata come “il male”.

Il legislatore, in generale, dovrebbe in qualche modo mettere ordine. Sarebbe opportuno che tutta la politica, indipendentemente dal colore, si ponesse questo problema: non solo quello della trasparenza delle fonti di finanziamento, ma anche quello della certezza delle forme con cui ricevere questi fondi, perché se noi continuiamo a dilatare il concetto di corruzione finiamo per aprire una fase discrezionale, con danni di non poco conto. La politica va tutelata, perché l’azione di chi amministra è importante per la società e dev’essere svolta sì onestamente, sì nell’interesse pubblico, ma va pure tutelata.

Colpa anche del populismo?

Esatto. Il politico non è percepito, nel nostro Paese, positivamente, poi quando si parla di soldi è ancora peggio. A Toti nessuno ha contestato un arricchimento o un vantaggio personale, e questo è già qualcosa, ma se continuiamo a contornare la politica di un alone negativo, con i politici tutti mascalzoni, pregiudichiamo gravemente la possibilità per i cittadini di avere un’espressione politica e di poterla mantenere. Se noi prendiamo lo stesso fatto e lo guardiamo da due angolazioni diverse, da una parte parliamo di corruzione e dall’altra parliamo di buona amministrazione. Questa discrezionalità non può stare al di fuori della politica: dev’essere l’elettore a dire “non ti voto più”. Adesso si sta abolendo l’abuso d’ufficio, proprio perché apriva delle praterie di discrezionalità, di invasione di campo. Ma non vorrei che poi quello che non si fa più con l’abuso d’ufficio si facesse con la corruzione. Il passo non è che sia così lungo. La politica è un valore e va preservata. Se ha perso valore per strada è bene che lo recuperi, ma non per via giudiziaria. Altrimenti poi ci si chiede perché le urne sono vuote. L’elettore ha diritto di scegliersi i rappresentanti e di giudicarli per quella che è la loro azione, e solo lui ce l’ha: non possiamo aprire la porta a qualcosa di diverso, altrimenti sovvertiamo l’equilibrio istituzionale.