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«Caccia alle streghe!», esordisce Il Fatto Quotidiano puntando il dito contro la proposta di Chiara Colosimo, presidente della Commissione antimafia, volta a sanare una evidente problematica mai verificatasi da quando è stato istituito tale organismo politico alla fine degli anni Cinquanta. La questione del 'conflitto di interesse' sollevata nei confronti dell'ex magistrato e senatore grillino Roberto Scarpinato non nasce per antipatia o volontà di far tacere una presunta voce scomoda, ma per rendere compatibile quanto stabilito dall'articolo 82 della Costituzione, il quale stabilisce che per le loro indagini tali commissioni hanno gli stessi poteri e limitazioni dell'autorità giudiziaria. Ebbene, tra le limitazioni che riguardano tale autorità assimilabile alla commissione, non solo un PM si astiene dall'indagine se l'episodio in esame lo vede coinvolto direttamente o indirettamente, ma c'è anche la competenza territoriale quando si tratta di indagini relative ai fatti concernenti le procure.
Nel caso attuale della commissione parlamentare, soprattutto dopo l'audizione fiume dell'avvocato Fabio Trizzino e di Lucia Borsellino, è emersa la questione del cosiddetto 'nido di vipere', così definita dal giudice ucciso in Via D'Amelio nei confronti della Procura di Palermo. Nasce così la volontà di approfondire per la prima volta i punti tuttora non chiariti, e purtroppo 'seppelliti' nel corso degli anni a causa delle varie tesi giudiziarie risultate fallimentari, riguardanti la 'Via Crucis' che dovette affrontare Borsellino in quei 57 giorni che iniziano con la strage di Capaci, dove perse il suo collega e fraterno amico Giovanni Falcone, e finiscono con una terribile esplosione, tanto da dilaniare il suo corpo. «È a tutti noto lo stato di prostrazione che lo ha accompagnato dal 23 maggio 1992 fino alla morte, culminato pochi giorni prima del 19 luglio nello sfogo raccolto dai colleghi Massimo Russo e Alessandra Camassa: nel suo ufficio, nostro padre usò espressioni come 'nido di vipere' e 'un amico mi ha tradito'. Si riferiva al contesto di lavoro all'interno della procura di Palermo», ricorda con sofferenza Lucia Borsellino nella recente intervista apparsa su Repubblica.
Se da una parte c'è la Procura di Caltanissetta – competente territorialmente - che sta svolgendo indagini su ciò che accadde all'interno del palazzo di giustizia di Palermo, nel contempo anche la commissione antimafia vuole approfondire tale aspetto. E ha iniziato a farlo ben prima dei recenti avvisi di garanzia nei confronti di due ex magistrati palermitani del tempo. Il caso Scarpinato emerge nel contesto di questo approfondimento. Attenzione, è sempre meglio ribadirlo, non c'entra nulla la questione penale. Si parla di opportunità visto che il suo nome non emerge soltanto nella questione del controverso procedimento mafia-appalti, ma anche in diverse fasi di ricostruzione – in questo caso da testimone - riguardanti la diffidenza di Borsellino nei confronti di alcuni colleghi, a partire dall'ex capo procuratore Pietro Giammanco.
Per comprendere la necessità di una sua astensione, e di conseguenza una legge che lo regolamenti, si potrebbe fare un esempio emblematico. Grazie alla ricostruzione documentata dell'avvocato Trizzino, nel corso della sua audizione in commissione è emerso che Borsellino fece una confidenza rilevante a Scarpinato. Fatto che si è potuto appurare, dopo 30 anni, dai famosi verbali del CSM risalenti a pochi giorni dalla strage di Via D'Amelio quando furono sentiti tutti i togati della procura.
Trizzino, facendo i giusti incroci delle testimonianze, tra l'altro ben riportate anche nelle motivazioni della sentenza d'appello Trattativa, ha evidenziato che Borsellino disse all'attuale senatore grillino che stava conducendo delle indagini molto delicate a insaputa di Giammanco e di mantenere il riserbo più assoluto. All'epoca, innanzi al Csm, Scarpinato non ha voluto dire di cosa si trattasse perché l'indagine annessa alle confidenze di Borsellino era ancora in corso. Trizzino, con i dovuti incroci, ha riportato ciò che Borsellino potrebbe aver detto a Scarpinato. Cosa che emerge anche dalla ricostruzione del giudice Pellino sulle motivazioni della Trattativa. A quel punto il senatore pentastellato si sarebbe inalberato. Da lì un battibecco che la presidente Colosimo ha dovuto stoppare.
Legittimamente Scarpinato può negare e fare chiarezza, ma ancora oggi, la domanda posta dal Csm risulta inevasa. Persino al Fatto Quotidiano, quando i giornalisti gli chiesero a cosa si riferiva Borsellino, ha risposto di non ricordarlo. Tutto ciò può essere compatibile con il suo ruolo da commissario?
Si potrebbero fare tanti altri esempi, a partire dalle dichiarazioni che l'avvocato Trizzino definisce 'progressive'. Ma anche, giusto per citarne un altro, il fatto che tra le carte di Borsellino è stato ritrovato un appunto dove appare il suo nome vicino a quello del pentito Contorno, probabilmente per un'indagine che svolgevano insieme, anche se non è dato sapere. Detto ciò, come si può affermare che non ci sia una questione di 'conflitto di interesse'? Attenzione, tale definizione non implica assolutamente una questione penale, ma si riferisce a una situazione in cui, in virtù del suo ruolo, possa non agire in modo imparziale visto gli inevitabili legami personali e lavorativi avuti appunto in quel terribile periodo in cui Borsellino navigava a vista.