Ddl Nordio: ne parliamo con l’avvocato Oliviero Mazza, ordinario di diritto processuale penale all’Università degli studi Milano- Bicocca, che fa il seguente bilancio: «Certamente positivo è il cambio di passo rispetto alla stagione Cartabia, quando l’obiettivo era solo l’efficienza attuata con un taglio lineare delle garanzie. Oggi si parla apertamente di garantismo, ma l’impressione è che ci sia tanto fumo senza arrosto». Professore cosa pensa del botta e risposta tra il professor Spangher e il presidente dell’Anm Santalucia in merito all’amnistia che si verrebbe a creare con l’abrogazione del reato di abuso di ufficio?

Ho letto con interesse i loro interventi e credo che evocare il termine amnistia abbia un preciso significato demagogico. Ogni mutamento della legge penale sostanziale comporta delicate questioni di diritto intertemporale, per l’abuso d’ufficio accadrà esattamente quello che è sempre accaduto in passato per tutte le ipotesi di abrogazione del reato. Mi sembra che la polemica non tenga conto del fatto che l’abuso d’ufficio è da sempre un reato improbabile, ossia difficilmente dimostrabile proprio a causa del deficit di tassatività della fattispecie. Dovremmo quindi considerare anche la natura di quelle circa 3600 condanne passate in giudicato per fatti che sfuggono alla necessaria tipizzazione imposta dalla Costituzione. Forse l’abrogazione dell’abuso d’ufficio sanerà anche la sostanziale ingiustizia di quei pochi casi in cui si è giunti alla definitiva affermazione di responsabilità per un reato, come detto, improbabile. Sottolineo pochi casi perché le 3600 condanne sono una minima parte dei processi che normalmente si concludono con l’assoluzione.

Reintrodurre il peculato per distrazione è stato un modo di mettere una pezza da parte del Governo?

Purtroppo sì ed è la cifra politica di questa riforma che non ha il coraggio di operare scelte nette. Il peculato per distrazione è il passo del gambero, si torna a incriminare una indefinita condotta d’abuso con carattere patrimoniale. Una scelta sbagliata che creerà enormi problemi interpretativi in ordine alla presunta continuità normativa con la precedente incriminazione. Pessima scelta, in definitiva.

Dal punto di vista metodologico come giudica il fatto che sia stato inserito nel decreto carceri?

Mi sembra quasi canzonatorio introdurre una nuova fattispecie di reato in un decreto volto a contrastare l’inflazione carceraria, peraltro con strumenti palesemente inadeguati. È la riprova che la legislazione compulsiva di questo governo è entrata in confusione.

Un altro aspetto controverso è quello dell’interrogatorio preventivo. Qual è il suo parere in merito?

Sono contrario, non si può pensare di interrogare un indagato con la pressione psicologica della spada di Damocle di una richiesta cautelare. Mi sembra un atto di moderna tortura che ricorda molto da vicino la prassi degli interrogatori in transito di Mani Pulite. Il contraddittorio anticipato rispetto all’applicazione delle misure cautelari sarebbe una buona soluzione, ma dovrebbe essere un contraddittorio tecnico, un confronto fra pubblico ministero e difensore, con tutti gli atti sul tavolo, dinanzi al giudice che poi deciderà se emettere la misura. Ben diverso pretendere che sia il diretto interessato a convincere il giudice di non mandarlo in carcere, non ci vuole molto a capire che l’unico argomento convincente sarà la confessione accompagnata dal pentimento. Il caso Toti è emblematico.

Per quanto concerne il collegio per decidere sulle misure cautelari condivide le posizioni di Santalucia per cui se va male all’indagato un provvedimento emesso da tre persone è maggiormente rafforzato?

La collegialità è una garanzia, ma deve essere effettiva e, soprattutto, non deve pregiudicare il successivo riesame. Non mi convince la preoccupazione di Santalucia che un provvedimento applicativo del collegio diverrebbe inscalfibile. Anche le sentenze di condanna del tribunale collegiale vengono riformate in appello o sono annullate in Cassazione, non capisco sinceramente quale sarebbe la pericolosità

insita nella collegialità. Temo, invece, che il riesame finisca per appiattirsi, soprattutto quando l’ordinanza venga emessa da giudici dello stesso tribunale distrettuale presso cui ha sede il tribunale della libertà. Bisognerebbe procedere con qualche aggiustamento sul piano ordinamentale.

Quanto impatterà invece l’inappellabilità di alcune sentenze di assoluzione?

Poco, perché nei procedimenti a citazione diretta il pm titolare del fascicolo non partecipa quasi mai all’udienza e meno che mai decide di impugnare. Sono procedimenti rispetto ai quali si registra un sostanziale disinteresse della procura. Il principio è giusto, ma l’applicazione, ancora una volta, troppo timida. L’appello del pm viola il Patto internazionale che riconosce al condannato un riesame nel merito. Quando viene appellata una sentenza di assoluzione, l’imputato rischia di essere condannato per la prima volta in appello, perdendo così il diritto al controllo di merito. L’appello del pm contrasta con norme internazionali costituzionalmente cogenti e va abolito, lasciando all’accusa solo la possibilità di ricorrere per Cassazione. Vorrei ricordare che questo decisivo argomento non è stato considerato dalla Corte costituzionale nella famosa sentenza sulla legge Pecorella.

Nordio annuncia la riforma delle intercettazioni. È davvero la prossima priorità?

Credo che si possa trarre un primo bilancio delle riforme finora varate da questo Governo. Certamente positivo è il cambio di passo rispetto alla stagione Cartabia quando l’obiettivo era solo l’efficienza attuata con un taglio lineare delle garanzie. Oggi si parla apertamente di garantismo, ma l’impressione è che ci sia tanto fumo senza arrosto. Parole, buone intenzioni tradotte in scelte legislative sbagliate e compromissorie, si enuncia un principio, ma contestualmente si introducono mille eccezioni che di fatto svuotano la regola. Un garantismo di facciata che viene attuato con strumenti normativi del tutto inadeguati. Sarebbe molto interessante sapere chi materialmente scrive le norme, dato che la Commissione ministeriale di cui faccio parte è quasi del tutto estromessa dal procedimento legislativo. Per rispondere alla domanda, se si devono toccare le intercettazioni con questa metodologia, meglio lasciar stare.