È un segno che forse supera per velocità e chiarezza le ipotesi del Recovery plan. Nella legge di Bilancio si comincia a investire sul serio sul sistema dell’esecuzione penale, sulla qualità del trattamento di chi si trova in carcere ma, finalmente anche sull’esecuzione esterna, vale a dire le misure alternative alla “detenzione inframuraria”. Sono gli obiettivi che già un paio di mesi addietro il guardasigilli Alfonso Bonafede aveva descritto in audizione alla Camera come prioritari nell’uso dei fondi Ue per la giustizia. Dalle ipotesi si è passati alla realtà di stanziamenti che prescindono, ovviamente, da quanto si farà col Recovery. E ci si è arrivati con un anticipo non scontato anche grazie al lavoro paziente del sottosegretario alla Giustizia Andrea Giorgis. Il costituzionalista eletto alla Camera col Pd si dice «molto soddisfatto dei risultati raggiunti, delle risorse previste per l’informatizzazione nelle carceri, per esempio, come di quelle che renderanno più celeri i risarcimenti dovuti per la sentenza Torreggiani». Non solo, perché ci sono molte assunzioni, di cui in parte si è detto in questi giorni, e che rafforzano finalmente settori spesso trascurati a vantaggio della sola sicurezza. Oltre all’arrivo di nuovi magistrati, alle più volte ricordate, anche su queste pagine, nuove risorse di personale nella polizia penitenziaria, ci saranno 100 assunti anche nell’area trattamentale del Dap, che integrano la pianta organica già esistente. E ancora, altre 100 nuove unità saranno acquisite per colmare i vuoti aperti sul fronte degli educatori e delle professionalità di ambito pedagogico e psicologico, in particolare per il recupero di ha commesso reati contro le donne. Vengono rafforzati con ulteriori 80 assunzioni gli Uffici esecuzione penale esterna disseminati in tutte le città sedi di provveditorato.

«Si tratta di investimenti volti a potenziare e migliorare i servizi e gli spazi trattamentali», spiega il sottosegretario Giorgis, «e contestualmente migliorare le condizioni di lavoro della polizia penitenziaria e di tutti coloro che operano all’interno delle carceri, garantendo così una più piena ed effettiva attuazione della finalità rieducativa della pena: il che significa ridurre i rischi di recidiva e in tal modo garantire la sicurezza di tutti i cittadini».

L’esecuzione penale esterna, il trattamento fuori delle mura è un segno importante, che la parte del “Piano nazionale di ripresa e resilenza” pure prevede di incrementare, ma forse con qualche timidezza in più rispetto al capitolo dedicato all’edilizia giudiziaria e penitenziaria. Con la legge di Bilancio l’esecutivo muove dunque un passo verso un’idea di esecuzione penale vincolata non solo alla prospettiva inframuraria, e comunque molto attenta all’opportunità di lavorare anche per chi resta in cella. Così come una scelta necessaria è quella di stanziare 800mila euro l’annoi dal 2021 al 2023 per coprire i “rimedi risarcitori” reclamati dai detenuti che hanno fatto ricorso per trattamento inumano e degradante. Vale a dire per la condizione sofferta a causa del sovraffollamento, dello spazio vitale ridotto rispetto ai parametri della sentenza Torregiani. Passo avanti, sì, ma certo ancora insufficiente rispetto all’inciviltà della condizione in cui, persino in tempo di covid, sono costrette alcune decine di migliaia di esseri umani detenuti in carcere.

Attenzione alla qualità della vita e al recupero di chi si trova dietro le sbarre c’è anche in quella che è forse la misura più suggestiva fra tutte quelle finanziate: gli 80 milioni destinati fino al 2026 per l’adeguamento degli spazi dove si svolgono le attività lavorative e anche al cablaggio degli istituti di pena, al rafforzamento delle infrastrutture telematiche. Vuol dire maggiori opportunità di lavoro anche attraverso i mezzi digitali. E forse qualche occasione in più di colloquiare a distanza con i propri cari, sia nel tempo che si spera breve in cui i carcerati saranno ancora sottoposti alle privazioni della emergenza sanitaria, sia per quei casi in cui anche una semplice visita è impedita è disagevole.

Basta, tutto questo, a prefigurare un futuro, deciso ritorno alla grande riforma, quella che il Pd vorrebbe riproporre a Bonafede, che dovrebbe riaprire il dossier Orlando lasciato impolverare negli ultimi due anni? Difficile dirlo. Ma almeno, spendere un po’ di soldi per migliorare la qualità dell’esecuzione penale potrebbe essere anche un stimolo indiretto a rivedere l’intera politica carceraria.