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Il caso Rosanna Natoli, la consigliera laica del Csm indagata dalla procura di Roma dispensato “consigli” — ammonendola per i suoi comportamenti — a una magistrata sotto procedimento disciplinare, nel quale lei stessa era giudice, spacca la magistratura. Con una fronda convinta dell’impossibilità, da parte del Csm, di procedere con la sospensione, pure prevista dal regolamento, ma non sulla base della sola iscrizione, come previsto dal nuovo articolo 335 del codice di procedura penale, e un’altra sostenitrice della tesi opposta, sulla scorta della relazione dell’Ufficio del Massimario. In mezzo la questione dimissioni, che dopo l’abolizione dell’abuso d’ufficio - reato contestato a Natoli insieme alla rivelazione di segreto - sembrano non essere più tra le opzioni dell’avvocata di Paternò, fortemente voluta a Palazzo Bachelet dal presidente del Senato Ignazio La Russa. Anzi, oggi Natoli - che finora aveva disertato plenum e commissione - ha preso parte alla seduta di Settima «come se nulla fosse», fanno sapere dal Palazzo. Dunque nessun passo indietro in vista. A chi sostiene l’esigenza - pure all’interno del Csm - di attendere le mosse del pm, onde evitare di annullare il principio di non colpevolezza, già sancito dalla Costituzione e rafforzato dalla riforma Cartabia, si oppone ora chi vuole “tutelare” l’onorabilità dell’organo di autogoverno, colpito dall’ennesimo scandalo. A ravvivare il dibattito è stato il recente intervento di Nello Rossi su Questione Giustizia: il Csm, secondo l’ex procuratore aggiunto di Roma, può infatti agire in autotutela, sospendendo il consigliere indagato per delitto non colposo, come previsto dall’articolo 37 della legge n. 195 del 1958, contenente norme sulla costituzione e sul funzionamento del Consiglio superiore della magistratura. Una possibilità regolata da una normativa speciale che non sarebbe stata scalfita, a dire di Rossi, dalle recenti disposizioni della riforma Cartabia. «Le questioni poste dal caso Natoli sono troppo gravi e serie per farne materia di cavilli e di vuote suggestioni e per tutti i membri del Consiglio superiore è venuto il momento dell’assunzione di responsabilità - aveva scritto nei giorni scorsi -. Essi sono chiamati a decidere se tutelare l’immagine e la funzionalità dell’organo di governo autonomo o se scegliere di rimanere inerti, accettando che i fatti già noti sul caso Natoli e quelli che potranno emergere nel prossimo futuro pongano una pesantissima ipoteca sulla credibilità e sull’efficienza dell’attività del Consiglio superiore».
Se l’argomento ha convinto alcuni, altri si sono tirati fuori. Così le mailing list delle toghe si sono subito infuocate. Se la strada è quella indicata da Rossi, afferma qualcuno, il rischio di strumentalizzazione è dietro l’angolo. Ovvero: basterà una denuncia per sacrificare il singolo consigliere sull’altare della maggioranza consiliare, sulla base di «logiche forcaiole» alle quali il giudice amministrativo sarebbe, però, immune. Parole dure, che sembrano rinforzare la polemica sollevata su X dal deputato di Azione Enrico Costa, secondo cui «il Csm punta a sospendere una sua consigliera per il fatto di essere indagata, scavalcando la legge che stabilisce che “la mera iscrizione nel registro” degli indagati “non può, da sola, determinare effetti pregiudizievoli di natura civile o amministrativa”. Ma loro possono tutto». Ma tali remore, secondo alcuni, rappresentano un «garantismo ipocrita» che anzi darebbe al pubblico ministero - dal quale dipenderebbe la possibilità di agire anche in sede disciplinare - «un potere enorme» e al di fuori della legge. Obiezioni alle quali un’altra toga risponde chiaramente: le leggi dovrebbero valere per tutti, pure per il Csm, che di certo non ha il potere di derogare al principio costituzionale di non colpevolezza.
L’altra questione in gioco è quella che a molti appare una colpevole inerzia da parte della procura: dopo aver convocato Natoli - che ha deciso di non rispondere alle domande dei pm - la vicenda sembra essersi impantanata. E basterebbe, forse, che la stessa consigliera - la cui voce è stata registrata dalla toga incolpata, che poi ha consegnato il nastro alla sezione disciplinare - dichiarasse di aver inventato tutto per chiudere la questione con una archiviazione. Di fatto rendendo inutile qualsiasi azione del Csm, che pure, attraverso il Comitato di presidenza, sembra essere intenzionato ad affrontare la questione, così come caldeggiato pure dal Presidente della Repubblica Sergio Mattarella nel corso di un incontro con il suo vice a Palazzo Bachelet, Fabio Pinelli. Dopo tre mesi, però, non c’è alcun atto istruttorio, mentre il Csm va in tilt attorno alle questioni giuridiche. Nelle mailing, list, però, si ragiona anche di dignità e autorevolezza: il garantismo non c’entra nulla - tuona un giudice -, la verità è che ciò che è emerso mette in discussione la dignità della magistratura e del Csm. Che perderebbe valore, a suo dire, se Natoli continuasse a rimanere seduta tra gli scranni di Palazzo Bachelet. «Che legittimità avrebbe?», si chiede ancora la toga, che ne fa una questione di «autotutela del Csm». Ma il fronte è ormai spaccato: senza azione penale, sostiene una toga ormai in pensione, non si può fare nulla. Altrimenti il rischio di «colpi di mano» per defenestrare consiglieri sgraditi rimane sempre dietro l’angolo. Insomma, la valutazione deontologica non può prescindere dalla sussistenza del reato: «Solo se ha un fumus di fondatezza possono seguire valutazioni di altro genere».