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Nasrin Sotoudeh, prigioniera politica e avvocato, è costretta a ritornare nella prigione di Zanzan Qarchak, la stessa dove ha trascorso gli ultimi due anni di vita.
Era stata rilasciata a titolo provvisorio lo scorso 8 novembre a causa dei suoi problemi di salute: oltre a essere risultata positiva al Covid, Soutudeh ha sofferto di una serie di patologie gravi, tra cui problemi cardiaci, a causa degli effetti di un lungo sciopero della fame per protestare contro la sua detenzione. Uno sciopero che ha attirato l’attenzione dei media internazionali, facendone un simbolo della difesa deii diritti umani e del diritto alla difesa nel Paese degli ayatollah.
Detenuta dal 2018 per aver difeso una donna arrestata per aver protestato contro l’obbligo per le donne di indossare l’hijab, le accuse a suo carico sono di spionaggio e propaganda contro lo Stato. Capi d’imputazione molto vaghi riservati solitamente agli oppositori politici del regime sciita. All’epoca le fu detto che, secondo i suoi avvocati, era stata condannata a cinque anni di prigione in contumacia per spionaggio. Nel 2019, è stata nuovamente condannata a 12 anni di carcere «per aver incoraggiato la corruzione e la dissolutezza» nonché alla pena di 148 frustate.
Il primo a comunicare la notizia è stato il marito Reza Khandan che ieri pomeriggio ha pubblicato un messaggio su Twitter spiegando che nonostante i medici che hanno visitato Soutudeh avessero chiesto di prolungare la libertà di almeno altre due settimane per poterle dare delle cure appropriate (in questi 20 giorni non ha potuto vedere i suoi figli a causa delle condizioni di salute) i funzionari della prigione si sono mostrati inflessibili, rispedendola dritta dietro le sbarre.
Sulla sua pagina Facebook Sotoudeh ha tentato di rassicurare i suoi sostenitori pubblicando un messaggio in cui annuncia il suo ritorno in carcere con serenità: «Mi è stato detto di tornare in prigione e tornerò in prigione oggi».