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Stefania Battistini ricercata in Russia
Si chiama Interpol red notice, traducibile in “avviso rosso”. Se ne parla poco. Forse perché in genere viene utilizzato per indagini su reati transfrontalieri, a volte riconducibili a reti malavitose internazionali. Ma può accadere anche altro, con i red notice. Ci si può trovare dinanzi a un Paese a ridotto tasso di democrazia che si nasconde dietro ipotesi penali gravissime per catturare, in realtà, perseguitati politici.
A pensarci bene, è un quadro non lontano da quanto avvenuto con i giornalisti del Tg1 Simone Traini e Stefania Battistini, per i quali il Tribunale russo di Kursk ha emesso un “avviso rosso” rivolto all’Italia, Stato in cui due inviati Rai risiedono e si trovano ora fisicamente. L’accusa dei giudici di Putin è “violazione illegale del confine di Stato” tra Russia e Ucraina. L’obiettivo, chiarissimo, è infliggere una lezione a tutti i reporter d’Occidente che si ostinano a voler documentare da vicino il conflitto scatenato dal regime di Mosca nei confronti di Kiev.
Che un Tribunale italiano possa eseguire l’arresto sollecitato dalla Russia è del tutto improbabile. Il caso non sarà valutato certo con approccio “burocratico”. La sussistenza dell’illecito penale sarà considerata, dai nostri giudici, nell’accurato bilanciamento con il diritto di cronaca: come è noto, Traini e Battistini hanno sì superato il confine russo, ma per realizzare servizi giornalistici, non certo per aggirare le norme sull’immigrazione. Sostenere che una persona, oggi, nell’anno 2024, voglia immigrare illegalmente in Russia è una barzelletta che non fa ridere. E che non ingannerà la magistratura italiana.
Ma barzellette, o pretese abnormi e non troppo dissimili dal caso dei giornalisti Rai, altre volte hanno funzionato. Lo denuncia un avvocato attento e da tempo vigile sul particolare istituto dell’Interpol red notice qual è Nicola Canestrini. «Ci sono pronunce, emesse anche dalla Corte di Cassazione, e mi limito a citare la 47415 del 2021, secondo le quali un avviso rosso dell’Interpol di per sé legittimerebbe la custodia cautelare in attesa di una richiesta formale di estradizione. Un approccio ritenuto in linea con il nostro codice di procedura penale, in particolare con gli articoli 715 e 716, che in effetti consentono l’arresto provvisorio sulla base della sola esistenza di un avviso rosso dell’Interpol. Un automatismo privo di reali garanzie», ricorda Canestrini al Dubbio.
«Di fatto la nostra giurisprudenza non tiene abbastanza in conto il rischio di manipolazione. Uno Stato straniero dalle discutibili garanzie democratiche e giuridiche può ricorrere, come in passato è avvenuto, a questo sottovalutato strumento per nascondere, dietro ipotesi di reato come la frode, la persecuzione per motivi politici. I bersagli degli avvisi rossi sono, in non rare circostanze, gli human rights defenders. Formalmente, il giudice italiano non è affatto tenuto a condurre verifiche approfondite sull’effettiva consistenza delle ipotesi di reato, come invece avviene per esempio in Germania. E può non accorgersi che si spaccia per frode internazionale una condotta riconducibile a null’altro che al dissenso politico».
Una simile cornice giuridica, aggiunge Canestrini, «equivale a mettere seriamente a rischio i diritti umani del singolo e i diritti umani generalmente intesi. Certo, il nostro sistema penale e costituzionale impone un controllo più approfondito e preclusioni rigide in fase di estradizione: se ci si trova di fronte a richieste provenienti da Paesi in cui la democrazia e lo Stato di diritto vacillano, siamo tenuti a non accogliere quelle richieste. Ma il fatto che un perseguitato politico possa finire incarcerato in Italia costituisce di per sé un dato grave, lesivo dei diritti individuali e assolutamente allarmante. È spiegabile con lo sbilanciamento, nella nostra giurisprudenza, troppo favorevole alla cooperazione internazionale anziché alla tutela dei diritti».
Chiarissimo. È altrettanto chiaro come la vicenda dei colleghi Battistini e Traini, particolare e nello stesso tempo illuminante, debba tradursi nell’occasione per modificare le norme sull’esecuzione, da parte italiana, degli Interpol red notice. Abbiamo motivo di confidare che i due giornalisti del Tg1 saranno tutelati: se per assurdo così non fosse, l’intero sistema dell’informazione farà bene a insorgere. Ma il governo, il guardasigilli Carlo Nordio e il Parlamento devono vedere, dietro questa vicenda delicata e politicamente “esposta”, il risvolto meno eclatante ma altrettanto sensibile, sul piano dei diritti umani, di tanti altri casi che rischiano di essere pericolosamente sottovalutati.