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Sulle stragi di Ustica e di Bologna non c’è più il segreto di stato. L’ombra di Gheddafi e delle fakenews. Dopo 40 anni manca l’autore, l’arma e il movente dei delitti.
Nella redazione milanese del quotidiano più legato all’ircocervo politico creato da Beppe Grillo c'è una certa agitazione.
Non c’è più il segreto di Stato. La ragione va ricercata in un paio di scadenze. La prima è quella del 27 giugno. Saranno 40 anni dalla tragedia del 1980 in cui un aereo dell’Itavia esplose in aria e si inabissò nello specchio di mare tra le isolette di Ponza e di Ustica. La seconda è che tanto su di essa quanto sulla strage del 2 agosto 1980 presso la stazione di Bologna ( con un numero di vittime ancora più numeroso) viene meno il vincolo massimo ( fissato in 30 anni) del segreto di Stato e delle due proroghe massime ( cinque anni) per i documenti classificati come “segretissimo” ad esse apposti.
Sta per diventare, dunque, accessibile all'opinione pubblica quanto avvenne in Italia dal momento dei sequestri dei missili terra- aria avvenuto ad d Ortona nell’inverno del 1980?
Sembra proprio di sì, ma è bene non farsi troppe illusioni. I tempi, le beghe, i torcicolli della democrazia italiana a volte non sono diversi da quella indiana o egiziana.
Verso la fine del 1980 nel porto di Ortona da una nave battente bandiera libanese veniva sbarcata una santa barbara missilistica di origi ne sovietica. A trasportarla verso Roma, con consegna finale al terrorismo dell’Olp di Arafat, fu un gruppo di dirigenti dell'Autonomia romana di Via dei Volsci, insieme ad un esponente del terrorismo arabo- palestinese, il giordano Abuh Saleh Anzeh, domiciliato a Bologna.
In seno alla Commissione parlamentare d'in chiesta sul dossier Mitrokhin il Fronte Popolare per la Liberazione della Palestina ( FPLP) fu sospettato di avere effettuato l’eccidio di Bologna per reagire all’arresto e alla condanna del giordano Abu Saleh Anzeh ad opera del Tribunale di Chieti, e in violazione del “lodo Moro” ( l’intesa sulla reciprocità di favori nel trasporto di armi tra l’Italia e l’Olp ).
Come avviene sempre nei gruppi che interpretano la storia dell'Italia contemporanea co me una catena di complotti orditi dai servizi segreti occidentali genuflessi ( così si pensa) all’imperialismo americano, a scattare per l’ennesima volta è l'accusa di depistaggio.
Ad avere consumato questo reato sarebbe, ancora oggi, chi non si allinea a siffatta dozzinale vulgata storiografica. A rilanciarla sono due parlamentari del Pd che da molti decenni guiderebbero due gruppi di pressione come le associazioni delle vittime di Ustica e del 2 agosto a Bologna.
In realtà dati di fatto, inchieste e sentenze penali in questi quaranta anni hanno accertato le cose seguenti: cioè che l’aereo DC- 9 della compagnia Itavia, partito da Bologna e diretto a Palermo, s’inabissò nel Punto Condor del Mar Tirreno. Le vittime furono 81. Non ci fu nessun superstite.
In secondo luogo che non c'è stata nessuna battaglia aerea tra l’aeronautica di Gheddafi (avvertito dal capo del Sismi, gen. Santovito, dell’insicurezza del nostro spazio aereo) e quella dei paesi della Nato. Nessun missile è stato sparato. Nè la Francia nè gli Stati Uniti hanno preso di mira il vettore italiano in viaggio verso Palermo.
L’unica causa certa del suo abbattimento è soltanto l’esplosione di una bomba nella toilette posteriore di bordo. E’ la ragione per cui i giornaloni hanno mantenuto un silenzio da coscritti sul migliore saggio sulla vicenda finora pubblicato. Mi rife risco a Ustica, i fatti e le fake news. Cronaca di una storia italiana fra Prima e Seconda Repubblica, edito a Firenze nel 2019 da Lo Gisma.
Ne sono autori un esperto e colto comandante pilota come Franco Bonazzi e il ricercatore Francesco Farinelli che hanno ripercorso ogni aspetto e direi ogni documento ( non solo giudiziario) di questa tortuosa vicenda. Entra a far parte, rompendone il durissimo gheriglio di faziosità, delle secche di quei misteri aggrovigliati che in Italia sono l’amministrazione della giustizia e l’inferno delle notizie.
Il giornalismo è stato in prima linea nel pro palare informazioni che non hanno avuto mai il conforto di prove. Da Via Solferino è partita la notizia ( semplicemente infondata) di 4 aerei francesi che si sarebbero levati all’insegui mento del DC- 9. Successivamente si sarebbe insistito su un’altra fakenews, cioè di Mig libici nascosti dietro la sua scia. Di recente, sempre sugli schermi di Tv- 7, ci si è esibiti nel ricostruire un attacco missilistico in grande stile mosso dall’interno della portaerei degli Stati Uniti, Saratoga, ormeggiata nel porto di Napoli. Sfortunatamente la testimonianza è stata subito smentita.
Per non parlare del contributo attivo alla dissipazione del pubblico denaro che hanno dato il Comune di Bologna, la Regione Emilia Romagna e lo stesso governo dell’epoca. A quale titolo hanno erogato centinaia e centinaia di migliaia di Euro a favore di associazioni private che non sono titolari, in nessun modo, di inchieste giudiziarie né di ricerche scientifiche su Ustica o sul 2 agosto bolognese? A quale titolo, se non l’ostinazione di qualche parvenu della politica, queste istituzioni pubbliche hanno finanziato la ricomposizione del relitto dell’aereo esploso nel cielo di Ustica? Non sarebbe stato meglio destinare questi fondi ad un museo che ricordi l’assassinio di centinaia di civili, sacerdoti, militanti politici, imprenditori sterminati dopo la guerra di Liberazione da bande partigiane riottose all’accettazione dello stesso disegno di costituzionalizzazione della lotta politica perseguito anche dai leaders del Pci?
Le vittime dell’abbattimento del DC9 meritano certamente ogni solidarietà. La ricerca della verità su questo eventuale delitto non deve avere alcuna sosta. Ma questo doveroso tributo non giustifica in alcun modo il pregiudizio per cui esse sono considerate più interessanti, da un punto di vista storico, dei più numerosi delitti, sparizioni, esecuzioni sommarie, vendette ecc. della lunga guerra civile di cui l’Emilia Romagna è stata teatro dopo il 25 aprile 1945.
Grazie a Bonazzi e a Farinelli viene restituito alla storiografia il molto che ad essa è stato maltolto dalla narrazione fiabesca e sentenziosa del giornalismo nostrano ( non di rado popolato da inviati e opinionisti a corto di buone letture) e delle pseudo- inchieste della TV pubblica.
Il discorso vale purtroppo anche per quelle private. Mi rifer sco alle concioni di inaciditi e pallidi dilettanti nella LA7 di Urbano Cairo. Un politico democristiano di lungo corso, ma rispettoso della documentazione e della precisione dei fatti come Paolo Emilio Pomicino, anche di recente ha pubblica mente messo alla berlina, sul quotidiano Il Foglio, il curatore, Andrea Purgatori, del lezi oso e protuberante programma Atlantide.
A che punto è dopo un quarantennio l’affaire Ustica? I risultati dell’attività giudiziaria sme ntiscono platealmente le querimonie di cronisti menestrelli dei magistrati ieri di Mani pulite e poi della vicenda del DC9 di Itavia e della strage di Bologna.
Al pari della responsabile dell’Associazione Verità su Ustica, Giuliana Cavazza, del senatore Carlo Giovanardi, bisogna tenere presente la differenza sottolineata da Bonazzi e Farinelli. Le sentenze in campo penale hanno sempre negato l’ipotesi che a far naufragare il DC9 sia stato il lancio di un missile. A ritenerla più probabile sono state, invece, le sentenze in campo civile.
Agli atti giudiziari relativi ai risarcimenti chiesti dall’Itavia e dai parenti delle vittime si deve l’interesse dei media. Solo allora, anche grazie al silenziatore e alle distorsioni che hanno preso di mira i processi penali in Corte di assise, di appello e in Cassazione nel periodo 2000- 2007, le ipotesi del missile, delle collisioni intere o parziali con altro velivolo, della stessa fantomatica battaglia aerea hanno fatto assumere alle favole sulle cospirazioni il valore di certezze: anzi, come scrivono gli autori, il carattere di «verità monolitiche».
In realtà, l’unico monolite di questa vicenda è la sentenza\ ordinanza del 1999 emessa dopo circa dieci anni da un magistrato tenace e probo come Rosario Priore.
Nè Il FattoQuotidiano né la recente trasmissione di Franco Di Mare per La 7 si sono resi conto che la stessa sentenza, pubblicata nel febbraio 2019, della Corte d’Appello di Palermo ha ribadito la validità delle analisi e della sentenza del magistrato romano. Ma questo è anche il limite, cioè l’impasse in cui ci troviamo. La trama degli inganni di cui è intessuta la vicenda di Ustica ha visto coinvolti 4 magistrati ( Vittorio Bucarelli, Aldo Guarino, Giorgio Santacroce e Rosario Priore), 15 collegi peritali di nomina giudiziaria, molti consulenti delle parti civili e della difesa e circa 4 mila testimoni interrogati. Nell’insieme ne è sortito un “archivio” costituito da circa 1.750.000 pagine di atti istruttori generali. La sola sentenza consta di 5.468 pagine.
A Priore si ama fare risalire tesi che non ha mai sostenuto.
Nelle sue ricostruzioni spesso si è limitato a prospettare delle ipotesi, senza, però, poterne verificare a fondo nessuna. Ciò è stato ignorato dai giornalisti che lo tirano per la giacca.
Dell’eventuale conflitto armato tra il DC 9 dell’Itavia e altri velivoli Priore non ha fornito né le ragioni che lo avrebbero determinato, né il numero degli aerei partecipanti, né tanto meno la loro nazionalità. Ha così escluso che, in mancanza degli autori del reato ( rimasti ignoti), si potesse procedere per il delitto di strage.
È vero che ha disposto il rinvio a giudizio di nove esponenti dell’Aeronautica militare con l’accusa di falsa testimonianza e attentato contro gli organi costituzionali. Ma la terza sessione della Corte d’Appello di Roma ha poi dichiarato “la nullità dell’attività istruttoria” e della stessa ordinanza di rinvio a giudizio. Dunque, nulla di fatto.
Per la verità, bisogna aggiungere che Priore non è stato sordo di fronte a nuove proposte e analisi diverse da quella da lui prescelta. Anzi, nel corso degli anni, per effetto di inquinamenti e depistaggi, ha diverse volte oscillato nell’attribuzione delle cause della caduta del Dc 9.
Lo ha confessato candidamente egli stesso nel convegno su Ustica tenuto a Firenze presso il Consiglio regionale della Toscana, il 7 ottobre 2016. Prima ha parlato di un attentato missilistico. Poi di una quasi- collisione con altri aerei. E infine di collisione bella e buona. Dunque, notevole la sua incertezza sugli stessi eventi.
Ma c’è un altro aspetto che non viene adeguatamente sottolineato. La ripresa di interesse mediatico per la strage di Ustica ha avuto luogo in coincidenza con l’emissione di sentenze in ambito non più penale, ma civile.
Oggi siamo nella situazione di venti anni fa, cioè di fronte ad una sconfitta dello Stato.
Come hanno scritto Bonazzi e Farinelli «a fronte di una cospicua mole di documenti, si assiste al paradosso della mancanza di un colpevole, di un’arma del delitto unanime mente riconosciuta, di un chiaro movente e di una ricostruzione dei fatti condivisa». Dunque, siamo in assenza di una verità giudiziaria e di una verità storica. Questa è la ragione per cui a dominare è la gogna mediatica, i travisamenti, i processi celebrati sulla stampa.
Nell’incertezza l’Italia non ha ancora presentato all’International Civil Aviation Organi zation di Montreal ( l’agenzia delle Nazioni Unite dal 1970 specializzata in materia di aviazione civile) il Final Report sui risultati delle indagini circa le cause dell’evento. Tutto dipende dalla resistenza tutta politica a prendere in considerazione il fatto che l’ombra del Colonnello Gheddafi incombe sulla vicenda di Ustica come sulla mattanza del 2 agosto a Bologna.
La Libia ha finanziato il terrorismo della primula rossa Carlos, dell’Olp, del FPLP ecc. In particolare non ha mai perdonato all’Italia di avere assecondato la volontà della Nato di estromettere il campione dell’islamismo dal vero e proprio prottetorato esercitato su Malta. Di qui le proteste, le pressioni e le minacce rivolte al nostro paese. A documentarle, indicando una traccia pur troppo lasciata cadere, è stato il sotto- segretario agli esteri Giuseppe Zamberletti nel prezioso saggio- testimonianza intitolato La minaccia e la vendetta. Ustica e Bologna: un filo tra due stragi, Milano, FrancoAngeli, 1995.
* Salvatore Sechi è ordinario di Storia Contemporanea Dipartimento di Studi Storici Università di Bologna