Ad un anno dalla richiesta di pratica a tutela della magistrata Iolanda Apostolico, rea di aver disapplicato il decreto Cutro ed esposta alla gogna pubblica per aver partecipato ad una manifestazione pro migranti, il Csm rimane immobile. Un segnale pericoloso mentre infuria la guerra tra magistratura e governo. A sottolinearlo è il togato indipendente Roberto Fontana, che con una mail diffusa ieri nelle mailing list delle toghe ha inviato un duplice messaggio: uno rivolto all’esterno, al mondo della magistratura in generale, e uno all’interno, ai colleghi di Palazzo Bachelet. Il caso Marco Patarnello - strumentalizzato dalla stampa di destra - e le sentenze del Tribunale di Roma sul caso Albania sono solo l’ultima puntata di uno scontro eterno. «Non è più solo un problema di attacco all’istituzione e all’indipendenza della magistratura - afferma Fontana -, ma siamo alla messa in pericolo dell’incolumità dei magistrati». Il riferimento è alle minacce ricevute da Silvia Albano, tra le giudici che hanno giudicato illegittimi i trattenimenti in Albania, ma anche quelle contro i magistrati che hanno chiesto la condanna di Matteo Salvini a Palermo - Marzia Sabella, Calogero Ferrara e Giorgia Righi -, nonché contro i giudici del Riesame del caso Toti.

«Fiumi di messaggi di un’aggressività spaventosa», sottolinea Fontana, che pongono «un problema enorme di responsabilità di chi scatena queste offensive politico-mediatiche». Un problema dall’apparente immobilismo del Csm. Nonostante le reiterate richieste di apertura di pratiche a tutela, infatti, nulla si muove, evidenzia Fontana. E ad un anno dall’avvio della pratica “Apostolico”, «non si è ancora riusciti, per tante resistenze interne preannunciate fin dal primo giorno, ad arrivare ad una documento contenente una presa di posizione forte e chiara da portare in plenum». Una «paralisi» esasperante, «che deriva anzitutto dalla non compattezza della componente togata del Consiglio, unitamente a segnali di ripiegamento rassegnato che, a differenza di quanto accaduto negli ultimi trent’anni, cominciano a serpeggiare tra non pochi magistrati, contribuiscono a indebolire la risposta a queste aggressioni, aumentando la percezione di pericolo di sovraesposizione di chi si trova investito in prima persona». Da qui l’invito a chiudere in fretta il caso Apostolico e gli altri casi, «con una forte delibera del plenum».