«Sono stati travalicati i limiti di cronaca e di critica dei provvedimenti giudiziari, così determinando un possibile indebito condizionamento dell’esercizio della funzione giudiziaria oltre che dei singoli magistrati, in violazione delle imprescindibili condizioni di autonomia, indipendenza ed imparzialità. L’auspicio è quello di un dialogo sereno tra le Istituzioni, nel rispetto della reciproca autonomia». A scriverlo è la prima Commissione del Csm, nella proposta di delibera a tutela dei giudici di Bologna finiti nel mirino del governo e della stampa di destra per aver rinviato alla Corte di Giustizia europea il decreto Paesi Sicuri. La delibera - approvata con cinque voti contro uno - verrà portata al plenum «a tutela dell’indipendenza e del prestigio dei magistrati e della funzione giudiziaria», date le feroci critiche nate da una scelta legittima e prevista dal Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, ovvero il rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia. La Commissione ha formalizzato l’acquisizione della rassegna stampa - contenente articoli che attaccavano il giudice Marco Gattuso non per le sue scelte giudiziarie, ma rimestando nella sua vita privata - e del provvedimento del Tribunale di Bologna. A dire sì alla risoluzione i togati Marco Bisogni, Edoardo Cilenti, Andrea Mirenda e il laico in quota 5Stelle Michele Papa, oltre al presidente togato Tullio Morello, che hanno auspicato «un dialogo sereno e rispettoso tra istituzioni». Contrario il laico di centrodestra Enrico Aimi, secondo cui non sarebbero «sussistenti i presupposti previsti per l’intervento a tutela e manifestando la preoccupazione per il possibile acuirsi delle tensioni in atto». Secondo l’ex senatore forzista, «pur riconoscendo che vi sono state, come era naturale che fosse, reazioni dal mondo della politica, che si è sentita ostacolata nelle sue prerogative, tali dichiarazioni pur connotate da toni aspri, non hanno tuttavia concretamente prodotto un reale turbamento tale da incidere sull’indipendente esercizio della funzione giurisdizionale». Portare la questione in plenum, dunque, rischierebbe di causare, a suo dire, «un’ulteriore escalation delle tensioni tra politica e magistratura di cui l’Italia non ha in questo momento alcuna necessità». Il che lascia intendere che la polemica politica verrà riproposta proprio a Palazzo Bachelet, a conferma del clima ormai rovente tra politica e magistratura.
L’apertura della pratica era stata richiesta da 23 consiglieri, ovvero tutti i togati e i laici Ernesto Carbone (Italia Viva), Roberto Romboli (Pd) e Papa. In questo contesto, però, si era registrata una spaccatura dei consiglieri di Magistratura indipendente, che con tre componenti (Maria Vittoria Marchianò, Maria Luisa Mazzola e Bernadette Nicotra) avevano presentato un testo leggermente diverso da quello depositato dalla maggioranza del Consiglio. Da tempo, si legge nella proposta di delibera, il tema dell’immigrazione è diventato centrale nel dibattito pubblico del Paese, «dando luogo ad un acceso dibattito» e polemiche, «anche con specifico riferimento alle soluzioni giuridiche adottate», polemiche «non sempre contrassegnate dalla continenza propria della dialettica tra le Istituzioni». L’ordinanza dei giudici di Bologna, si legge nel documento che verrà sottoposto al plenum, è stata oggetto «di dure dichiarazioni da parte di titolari di alte cariche istituzionali, non correlate al merito delle argomentazioni giuridiche sviluppate nell’ordinanza. Dette dichiarazioni, inoltre, sono state accompagnate dall’esposizione mediatica, da parte di alcune testate giornalistiche nazionali, di fatti e atti della sfera intima e della vita privata e familiare del presidente del Collegio giudicante, non limitati ai suoi interventi pubblici e non attinenti alla questione sottesa all’ordinanza». Critiche che non hanno riguardato, dunque, i profili tecnici del provvedimento, ma hanno adombrato «un’assenza di imparzialità dell’organo giudicante priva di riscontri obiettivi e fondata su elementi personali alieni al contesto del giudizio». Proprio per tale motivo «appaiono lesive del prestigio e dell’indipendente esercizio della giurisdizione e tali da turbare il regolare svolgimento e la credibilità della funzione giudiziaria nel suo complesso».