Le certezze e le rigidità di Macron in materia di immigrazione si sgretolano. A picconare i muri eretti dal presidente francese, con l’intransigenza del suo ministro dell’Interno, Gérald Darmanin, sono state due organizzazioni di avvocati transalpini. L’Association Avocats pour la défense des droits des étrangers (Adde), fondata a Parigi nel 1901, e il Saf (Syndicat des avocats de France) con altre otto organizzazioni hanno avuto ragione davanti alla Corte di giustizia dell’Unione europea nella causa C-143/22.

Una decisione che arriva nei giorni più delicati dell’emergenza sbarchi. I giudici di Lussemburgo hanno bocciato i respingimenti dei migranti da parte della Francia al confine con l’Italia, considerando la direttiva rimpatri applicabile a qualunque cittadino di un Paese terzo che sia entrato nel territorio di uno Stato membro, senza soddisfare le condizioni d’ingresso, di soggiorno o di residenza.

Gli avvocati francesi che si occupano di immigrazione avevano contestato in un primo momento davanti al Conseil d’État (il Consiglio di Stato francese) la legittimità di un’ordinanza che modificava il Codice sull’ingresso e sul soggiorno degli stranieri e sul diritto d’asilo (Ceseda). Il contrasto tra la normativa interna e quella comunitaria è emerso nel giudizio davanti alla Corte di giustizia. È stato sostenuto che il Ceseda contravverrebbe alla direttiva rimpatri, nel momento in cui consente alle autorità francesi di rifiutare l’ingresso di cittadini di Paesi terzi alle frontiere con altri Stati membri. Frontiere in corrispondenza delle quali è stato temporaneamente ripristinato un controllo in forza del codice Schengen in ragione di una minaccia grave per l’ordine pubblico o la sicurezza interna della Francia.
Secondo la direttiva rimpatri, qualsiasi cittadino di un Paese terzo, il cui soggiorno è irregolare, deve, di norma, essere sottoposto ad una decisione di rimpatrio. L’interessato, inoltre, deve, in linea di principio, beneficiare di un certo termine per lasciare volontariamente il territorio e l’allontanamento forzato avviene solo in ultima istanza.
Il Consiglio di Stato francese si è rivolto alla Corte di giustizia, interrogandola su una questione di grande attualità in questi giorni. Uno Stato membro che decide di ripristinare temporaneamente i controlli di frontiera alle frontiere interne, può adottare nei confronti del cittadino di un Paese terzo che sia scoperto, privo di un titolo di soggiorno valido, ad un valico di frontiera autorizzato, situato nel suo territorio e in cui tali controlli vengono effettuati, un provvedimento di respingimento sulla sola base del codice delle frontiere Schengen, senza dover rispettare le norme e le procedure comuni previste dalla direttiva «rimpatri»? Un quesito articolato che ha trovato puntuale risposta da parte dei giudici, a detta dei quali nel caso prospettato un provvedimento di respingimento può essere adottato sulla base del codice delle frontiere Schengen. Ai fini dell’allontanamento dell’interessato devono però essere rispettate le norme e le procedure comuni previste dalla direttiva rimpatri, il che può condurre a privare di una larga parte della sua utilità l’adozione di un provvedimento di respingimento.
La direttiva rimpatri si applica, in linea di principio, a partire dal momento in cui il cittadino di un Paese terzo, in seguito al suo ingresso irregolare nel territorio di uno Stato membro, è presente in tale territorio senza soddisfare le condizioni d’ingresso, di soggiorno o di residenza, e vi si trovi dunque in una situazione di soggiorno irregolare. Ciò vale anche qualora, come nel caso posto all’attenzione dagli avvocati francesi che si occupano di immigrazione, l’interessato sia stato sorpreso ad un valico di frontiera situato nel territorio dello Stato membro. Una persona può essere entrata nel territorio di uno Stato membro anche prima di aver attraversato un valico di frontiera.
La Corte di Giustizia ha precisato che «solo eccezionalmente la direttiva rimpatri consente agli Stati membri di escludere i cittadini di Paesi terzi il cui soggiorno nel loro territorio è irregolare dall’ambito d’applicazione di tale direttiva». «Se è vero – aggiungono i giudici - che ciò avviene in particolare quando cittadini di Paesi terzi sono sottoposti a una decisione di respingimento ad una frontiera esterna di uno Stato membro, lo stesso non vale quando, come nel caso di specie, tali cittadini sono sottoposti a una decisione di respingimento ad una frontiera interna di uno Stato membro, anche qualora siano stati ivi ripristinati controlli».
Da Roma e da Bruxelles le reazioni politiche non si sono fatte attendere. «Esiste un giudice a Berlino, anzi in Lussemburgo», commenta la presidente dei senatori di Forza Italia, Licia Ronzulli. «Bocciata dalla Corte di giustizia europea la linea dura francese sull’immigrazione – aggiunge -, bocciata la sua chiusura delle frontiere, bocciati i respingimenti dei migranti, a volte anche a colpi di manganellate. Bocciata, di fatto, la politica di Macron a danno dell’Italia e in contrasto con il lavoro della Commissione, che si è fatta carico della crisi, prendendo atto della sua dimensione europea».
«La Corte di Giustizia dell’Unione Europea – afferma l’eurodeputata del M5S Laura Ferrara - ha bocciato i respingimenti illegali praticati dalla Francia lungo il confine italiano. Più volte negli scorsi anni si erano ripetuti episodi di migranti letteralmente scaricati dalle auto della gendarmerie francese. Nel 2018 il caso più eclatante a Clavière, con veri e propri sconfinamenti sul suolo italiano. Adesso siamo curiosi di ascoltare il commento di Matteo Salvini: difenderà i confini italiani o quelli francesi della sua amica Le Pen?».