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CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
Con una ordinanza “interlocutoria” ma di ben trentacinque pagine, la prima sezione civile della Cassazione ha fornito un indirizzo interpretativo sulla designazione di un Paese terzo come “sicuro”, riaccendendo le polemiche su migranti e piano Albania che hanno egemonizzato negli ultimi mesi il dibattito sulla politica giudiziaria. La questione era stata congelata in attesa che la Corte di Giustizia Ue si pronunci il 25 febbraio, dopo i rinvii dei Tribunali di Firenze, Bologna e Roma. Ma adesso gli ermellini hanno riaperto la partita.
Il contesto
I giudici si sono occupati del ricorso del ministero dell’Interno contro il provvedimento di non convalida del trattenimento in Albania di uno straniero proveniente dall’Egitto, adottato dal Tribunale di Roma, sezione specializzata in materia di immigrazione, lo scorso 18 ottobre.
La decisione di Piazza Cavour
Innanzitutto il riferimento è “l’ambiente normativo” anteriore al decreto Paesi sicuri e al decreto Flussi. Ribadendo quanto già sancito nell’ordinanza del 19 dicembre, la Cassazione sostiene che “il giudice ordinario, sebbene non possa sostituirsi all’autorità governativa sconfinando nel fondo di una valutazione discrezionale a questa riservata, ha, nondimeno, il potere-dovere di esercitare il sindacato di legittimità del decreto ministeriale, nella parte in cui inserisce un certo Paese di origine tra quelli sicuri, ove esso contrasti in modo manifesto con la normativa europea vigente in materia”. Concetto ribadito poco dopo quando si scrive che “il giudice della convalida, garante, nell’esame del singolo caso, dell’effettività del diritto fondamentale alla libertà personale, non si sostituisce nella valutazione che spetta, in generale, soltanto al Ministro degli affari esteri e agli altri Ministri che intervengono in sede di concerto, ma è chiamato a riscontrare, nell’ambito del suo potere istituzionale, in forme e modalità compatibili con la scansione temporale urgente e ravvicinata del procedimento de libertate, la sussistenza dei presupposti di legittimità della designazione di un certo paese di origine come sicuro, rappresentando tale designazione uno dei presupposti giustificativi della misura del trattenimento. Pertanto, egli è chiamato a verificare, in ipotesi limite, se la valutazione ministeriale abbia varcato i confini esterni della ragionevolezza e sia stata esercitata in modo manifestamente arbitrario o se la relativa designazione sia divenuta, ictu oculi, non più rispondente alla situazione reale”. Sulla scorta di questi e altri argomenti e in nome della “leale cooperazione” tra le Corti, la Cassazione ha deciso di rinviare la causa a nuovo ruolo in attesa della pronuncia della Corte di Giustizia dell’Ue.
Le reazioni
Preliminarmente vanno segnalati due aspetti. Il primo: i giudici avrebbero potuto optare per un semplice rinvio, hanno scelto invece una ordinanza interlocutoria. Secondo: sul sito della Cassazione è stato pubblicato un riassunto dell’ordinanza che comporta ovviamente una selezione mirata di alcuni contenuti. Questa duplice scelta potrebbe essere interpretata come una apertura verso le istanze del governo, tuttavia l’ordinanza, per essere commentata, andrebbe letta nella sua interezza.
Ad esempio per la deputata Sara Kelany, responsabile Immigrazione FdI, la Cassazione che «ha depositato le motivazioni su uno dei provvedimenti di mancato trattenimento in Albania, dà ragione al governo Meloni». Non è così visto che non c’è stato accoglimento del ricorso del governo ma un rinvio motivato. Comunque anche per il presidente della commissione Affari costituzionali del Senato Alberto Balboni, sempre di FdI, l’ordinanza «conferma la bontà delle politiche del governo Meloni sul fronte immigrazione e smentisce le cassandre del Pd. Soprattutto, si afferma senza alcun dubbio che il modello Albania funziona e può essere esportato in altri Stati europei».
Sulla stessa linea il presidente dei senatori di FI Maurizio Gasparri, per il quale «la Cassazione in materia di immigrazione dà ragione al governo e dà torto a quei magistrati che fanno un uso politico della giustizia. Dice infatti la Cassazione che sono le autorità politiche che decidono quali sono i Paesi sicuri e non dei magistrati. Questa sacrosanta decisione boccia sinistre giudiziarie e politiche che boicottano le giuste politiche del governo».
Al contrario, per Pierfrancesco Majorino, responsabile Politiche migratorie del Pd, «siamo di fronte all’ennesimo insopportabile giochino della destra che trasforma la realtà e ora pure i pronunciamenti da parte della Cassazione. Siamo davanti a un rinvio alla Cgue, non ad altro». «La destra festeggia», ha dichiarato infine Riccardo Magi, segretario di +Europa, «ma la Cassazione afferma ciò che è sempre stato chiaro, e che governo e maggioranza hanno sempre negato: nessuno ha mai voluto privare il potere politico di stilare la lista dei Paesi sicuri, ma sta al giudice verificare che un Paese sia effettivamente sicuro e che la decisione del governo non sia in contrasto con le norme Ue».
Il Dubbio ha raccolto il parere di Luca Minniti, presidente della sezione Immigrazione del Tribunale di Bologna, per il quale quella della Cassazione «è un’ottima ordinanza» in quanto «riafferma due princìpi già stabiliti nella decisione di pochi giorni fa. Primo: l’obbligo del giudice di valutare la situazione di personale insicurezza del migrante, confermandolo anche con riferimento al giudizio di convalida, con la necessità di istruttoria sul punto. Si prevede non un controllo formale ma sostanziale. Secondo: il giudice, anche nella convalida, deve sindacare la designazione del singolo Paese di provenienza e in questo giudizio la presenza estesa, endemica, diffusa, di persecuzione di categorie di persone, anche soggettivamente ristrette, ha sicuramente rilievo a prescindere dall’appartenenza del trattenuto a quella categoria di persone».
In conclusione, per il magistrato «tutto l’impianto delle disapplicazioni fatte prima dal Tribunale di Firenze in sede di sospensiva e poi da Catania in sede di convalida trova piena conferma. Ma in sostanza anche il giudizio del Tribunale di Roma trova conferma, per cui, se non cambiano le situazioni in Egitto, Bangladesh, Tunisia, Costa d’Avorio, le decisioni dei Tribunali non potranno essere diverse da quelle già prese».