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Policemen guard a reception center for migrants, at the port of Shenjin, northwestern Albania, on Wednesday, June 5, 2024. Italian Premier Giorgia Meloni is traveling to Albania Wednesday to thank the country for its willingness to host thousands of asylum seekers and to tour the sites of two migrant detention centers. (AP Photo/Vlasov Sulaj)
I giudici della sezione immigrazione del tribunale di Roma hanno deciso di non convalidare il trattenimento, emesso dalla questura di Roma il 17 ottobre scorso, dei dodici richiedenti asilo provenienti da Egitto e Bangladesh, soccorsi nella notte del 13 ottobre dalla Guardia di finanza nelle acque internazionali della zona Sar italiana e trasferiti a bordo della nave Libra della Marina Militare fino al porto di Shengjin e dal lì al centro di detenzione di Gjader, in Albania.
I migranti partiranno domani mattina a bordo della Classe de Grazia, un mezzo della Guardia costiera, per tornare in Italia, approdando a Bari. Questo nonostante le loro richieste di asilo siano state respinte dalle Commissioni territoriali poche ore prima del provvedimento delle toghe capitoline: essendo il provvedimento provvisorio, i migranti hanno ancora lo status di richiedenti asilo (14 sono i giorni per presentare ricorso contro la bocciatura della richiesta di asilo) e quindi il Governo italiano non può trattenerli nel Cpr albanese, altrimenti si creerebbe un illecito dopo la decisione del Tribunale di Roma: «In caso di non convalida del trattenimento e di mancanza del titolo di permanenza nelle strutture albanesi, come nel presente caso – hanno scritto i giudici nei dodici provvedimenti - lo status libertatis può essere riacquisito soltanto per il tramite delle Autorità italiane e fuori del territorio dello Stato albanese, delineandosi di conseguenza, in assenza di alternative giuridicamente ammissibili, il diritto del richiedente protezione a riacquisire lo stato di libertà personale mediante conduzione in Italia».
Intanto il ministro dell’Interno Piantedosi, come già avvenuto dopo le decisione della giudice Apostolico che disapplicò il dl Cutro, ha annunciato il ricorso: «Nutro profondo rispetto per i giudici, ma porteremo avanti la nostra battaglia all'interno dei meccanismi giudiziari: presenteremo ricorso in Cassazione». Di diverso parere il deputato e Segretario di +Europa, Riccardo Magi, che proprio oggi è tornato dall’Albania, dove ha visitato la struttura di Gjader: «Il piano del governo Meloni di una colonia detentiva per stranieri in terra d’Albania fatta di sbarre, gabbie e recinzioni metalliche è fallito. Piantedosi dovrebbe dimettersi e Meloni scusarsi per aver sperperato centinaia di milioni di euro dei contribuenti italiani per uno spot elettorale e per aver raccontato frottole ai partner europei».
Ma perché non sono stati convalidati i fermi? A spiegarlo in maniera molto chiara è stata la presidente della sezione Luciana Sangiovanni in una nota stampa: «I trattenimenti non sono stati convalidati in applicazione dei principi, vincolanti per i giudici nazionali e per la stessa amministrazione, enunciati dalla recente pronuncia della Corte europea a seguito del rinvio pregiudiziale proposto dal giudice della Repubblica Ceca. Il diniego della convalida dei trattenimenti nelle strutture ed aree albanesi equiparate alle zone di frontiera o di transito italiane è dovuto all’impossibilità di riconoscere come “Paesi sicuri” gli Stati di provenienza delle persone trattenute, con la conseguenza dell’inapplicabilità della procedura di frontiera e, come previsto dal protocollo, del trasferimento al di fuori del territorio albanese delle persone migranti, che hanno quindi diritto ad essere condotte in Italia».
Più dettagliatamente, secondo la decisione della Corte di giustizia dell’Unione europea del 4 ottobre scorso, «l’articolo 37 della direttiva 2013/32 deve essere interpretato nel senso che esso osta a che un paese terzo sia designato come paese di origine sicuro qualora talune parti del suo territorio non soddisfino le condizioni sostanziali per una siffatta designazione, di cui all'allegato I di tale direttiva». In pratica, un Paese per essere considerato sicuro deve esserlo in ogni sua parte e per ogni persona. E secondo i giudici del Tribunale civile di Roma, sia l’Egitto che il Bangladesh, applicando i criteri della sentenza, non lo sono.
Per quanto concerne il primo si legge in uno dei provvedimenti: «Relativamente al Paese di origine del trattenuto, nelle conclusioni della scheda-Paese dell’istruttoria del ministero degli Affari esteri e della cooperazione internazionale per l’aggiornamento del sopra menzionato decreto interministeriale, basate su informazioni tratte da fonti qualificate di riferimento, l’Egitto è definito Paese di origine sicuro ma con eccezioni per alcune categorie di persone: oppositori politici, dissidenti, difensori dei diritti umani o coloro che possono ricadere nei motivi di persecuzione di cui all’art 8, comma 1, lettera e) del D.lvo 19 novembre 2007, n. 251».
Mentre per quanto concerne il Bangladesh esso «è definito Paese di origine sicuro ma con eccezioni per alcune categorie di persone: appartenenti alla comunità Lgbtq+, vittime di violenza di genere incluse le mutilazioni genitali femminili, minoranze etniche e religiose, accusati di crimini politici, condannati a morte, sfollati climatici». Pertanto, «in ragione dei principi affermati dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea, il Paese di origine del trattenuto non può essere riconosciuto come Paese sicuro». Ad una settimana dalla sua apertura il mega centro in Albania che a pieno regime ospiterebbe un migliaio di migranti resta vuoto.