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«Accettazione delle dimissioni dall’ufficio». Ha lasciato il proprio incarico Iolanda Apostolico, la giudice del Tribunale di Catania finita nel mirino della destra per aver disapplicato il decreto Cutro e fortemente criticata per la sua partecipazione ad una manifestazione pro migranti a Catania. Le dimissioni avranno efficacia dal 15 dicembre, data indicata dalla magistrata nella sua comunicazione. Il plenum del Consiglio superiore della magistratura ha preso atto della comunicazione nella seduta di oggi, durante il quale ha invitato contestualmente il Tribunale di Catania ad inserire telematicamente la data di presa visione del decreto ministeriale che recepisce la delibera consiliare relativa all’accettazione delle dimissioni del magistrato sull’apposito portale. La giudice, il 29 settembre e l’11 ottobre dello scorso anno, aveva annullato, per otto migranti richiedenti asilo tunisini, il trattenimento nel Cpr di Pozzallo, inizialmente ordinato in base al decreto nato a seguito della tragedia consumatasi sulle coste calabresi. Già dopo il primo provvedimento di mancata convalida firmato da Apostolico si scatenò un’offensiva mediatica durissima, orchestrata in particolare da Matteo Salvini e culminata con la pubblicazione via social del video che ritrae la magistrata al porto di Catania il 25 agosto del 2018, quando era in corso una protesta contro l’allora ministro dell’Interno per il caso Diciotti.
Non sono chiare le motivazioni della sua scelta, sebbene, secondo diverse voci di corridoio, ad influire sarebbe stato proprio il caos mediatico e politico generato da quella vicenda, che l’avrebbe turbata parecchio. Immediata la reazione della Lega, che sin da subito ne aveva chiesto le dimissioni: «Meglio tardi che mai, ora potrà comportarsi come una esponente di Rifondazione comunista senza creare imbarazzi», si legge in una nota. In realtà sul futuro della toga non ci sono notizie. Sulla sua decisione potrebbe anche aver pesato la mancata presa di posizione del Consiglio superiore della magistratura, che da oltre un anno teneva nel cassetto la pratica a tutela promossa da un gruppo di consiglieri. Una pratica ritenuta divisiva, come sottolineato non molti giorni fa in un altro plenum, quello nel quale è stato votato un documento a tutela del giudice Marco Gattuso - presidente del collegio di Bologna che ha inviato il dl Paesi sicuri alla Corte di giustizia europea -, e pertanto tenuta da parte, nonostante gli appelli lanciati dal togato indipendente Roberto Fontana. Il consigliere, ad ottobre scorso, aveva scritto una lettera - appello ai colleghi, sottolineando la necessità di non manifestare divisioni in un momento di forte tensione tra la politica e la magistratura, tensioni che si sono accentuate soprattutto sul tema migranti. «Non è più solo un problema di attacco all’istituzione e all’indipendenza della magistratura - aveva sottolineato Fontana -, ma siamo alla messa in pericolo dell’incolumità dei magistrati. Fiumi di messaggi di un’aggressività spaventosa», sottolineava il consigliere, che pongono «un problema enorme di responsabilità di chi scatena queste offensive politico-mediatiche». L’appello era arrivato dopo gli attacchi a Silvia Albano, la giudice che ha disapplicato, insieme ad altri colleghi del Tribunale di Roma, il dl Paesi sicuri costringendo il governo a riportare in Italia i migranti spediti in Albania, decisione sulla quale, a stretto giro, si pronuncerà la Cassazione, alla quale si è rivolta il Viminale impugnando la decisione.
A bloccare la pratica Apostolico, stando a quella comunicazione di Fontana ai colleghi, erano state le «tante resistenze interne preannunciate fin dal primo giorno, ad arrivare ad una documento contenente una presa di posizione forte e chiara da portare in plenum». Una «paralisi» esasperante, «che deriva anzitutto dalla non compattezza della componente togata del Consiglio, unitamente a segnali di ripiegamento rassegnato che, a differenza di quanto accaduto negli ultimi trent’anni, cominciano a serpeggiare tra non pochi magistrati, contribuiscono a indebolire la risposta a queste aggressioni, aumentando la percezione di pericolo di sovraesposizione di chi si trova investito in prima persona». Da qui l’invito a chiudere in fretta il caso Apostolico e gli altri casi, «con una forte delibera del plenum». Troppo tardi, forse: la giudice, molto probabilmente, aveva già scritto la lettera di dimissioni.