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IMAGOECONOMICA
«A i magistrati conviene far passare la separazione delle carriere come uno scontro fra politica e toghe: possono presentarsi come i buoni, che perseguono i reati, contro i cattivi», nota Beniamino Migliucci.
E allora, presidente Beniamino Migliucci, al vertice della Fondazione Ucpi dopo aver guidato la stessa Unione Camere penali e la raccolta delle firme sulla separazione delle carriere: dopo 33 anni, i cittadini, con il Sì al referendum sulla riforma Nordio, potranno sancire il riscatto della politica dalla magistratura, e rimettere a posto l'equilibrio tra i poteri.
Migliucci ci gela: «Assolutamente non è così». E spiega una cosa che forse merita di essere compresa dalla politica innanzitutto: «Ai cittadini bisogna ricordare semplicemente che separare le carriere serve a rendere il processo più giusto. Servire a rendere il giudice davvero terzo, equidistante da chi accusa e da chi difende. E serve anche a spostare il centro della vicenda penale dalle indagini alla sentenza. C'è un significato pedagogico. La riforma è questo, ecco: contano le frasi. Non bisogna parlare di guerra, di riforma contro i magistrati. Non ha senso. È forviante. Populista. E perdente».
Migliucci è un avvocato, animatore da passione civile. E davvero la politica dovrebbe ascoltare chi, nel 2017, ha guidato le Camere penali italiane a raccogliere 72mila firme sul divorzio tra giudici e pm. Perché solo se si invita l'opinione pubblica a considerare il nuovo ordinamento della magistratura come il bene per tutti, anziché la punizione contro qualcuno, si possono coltivare speranze di vittoria per il Sì, a quel benedetto referendum che si celebrerà tra un anno.
Ci ha convinto, Migliucci.
Non può che essere come dico.
E allora dovrebbero essere gli avvocati, prima ancora dei politici, i veri testimonial della campagna referendaria. Oh no?
Allora: quando abbiamo raccolto le firme otto anni fa, non abbiamo voluto partiti al nostro fianco. Solo i radicali, che a mio giudizio non possono essere ascritti al novero dei partiti propriamente detti, e la Fondazione Einaudi. Basta. La separazione delle carriere non è la riforma di questa o quella parte politica. Realizza un'idea condivisa anche da Giovanni Falcone, che condivideva quell'idea in quanto principio coerente con la Costituzione.
La politica, insomma, dovrebbe proprio cambiare registro, non parlare di carriere separate come punizione per qualcosa o qualcuno.
Assolutamente. Il rischio anzi è che la magistratura trovi conveniente far passare la separazione delle carriere come uno scontro fra politica e toghe, perché una chiave simile offrebbe all'Anm l'opportunità di dire ai cittadini: vedete, dovete scegliere tra chi i delitti li contrasta e chi, spesso, è sorpreso da noi magistrati nel commetterli.
E sarebbe la fine, la sconfitta certa al referendum.
È una visione populista, demagogica, che va evitata, allontanata. E la magistratura deve smettere di considerasi come un antagonista, dovrebbe accettare il ruolo che la Costituzione le assegna: non un potere ma un ordine. Che applica le leggi. Vede, noi avvocati siamo testimoni di poche cose, ma di una certamente: del disagio vissuto da chi, nel momento in cui affronta un processo, percepisce che il giudice non è terzo. E attenzione: pretendere l'effettiva, ordinamentale terzietà del giudice non è la superfetazione linguistica di chi finge di non sapere che già ora il giudice può essere imparziale: terzietà vuol dire non essere strutturalmente connesso con alcuna delle due parti del processo. Significa essere una cosa diversa da entrambi. Dall'accusa e dalla difesa. E rispetto alla serenità dei rapporti istituzionali, vorrei notare che non è coerente con un'idea di equilibrio e armonia alzarsi, voltare le spalle e andarsene dalle cerimonie dell'anno giudiziario nel momento in cui parlano il ministro della Giustizia o altri rappresentanti del governo.
Lei dice che all'Anm il conflitto conviene.
Eccomi. Diranno: noi siamo quelli bravi, quelli che combattono i reati, votate per noi. E poi un'altra cosa: quando l'Anm sostiene, col suo nuovo presidente, che una volta separati dai giudici, i pm smetteranno di chiedere archiviazioni e perseguiranno sempre il rinvio a giudizio, la condanna, io ribatto che no, che il pm resterà un magistrato autonomo, libero di chiedere di archiviare o processare, così come i gup saranno finalmente i controllori dei pubblici ministri e smetteranno di limitarsi ad accompagnarli.
Professori come Paolo Ferrua, e non solo l'Anm, dicono: il Csm dei richiedenti è un'anomalia insostenibile che, al di là della buona fede di Nordio, potrà essere risolta solo con l'assoggettamento del pm all'Esecutivo. Di fatto, è una lettura che teme la degenerazione eversiva di una magistratura dell'accusa sganciata dai giudici.
Chi nella stessa magistratura ha questa visione, ha un'idea negativa di sé. Noi penalisti, per carità, nella nostra proposta originaria, prevedemmo numeri meno sbilanciati a favore dei togati, nei due Csm. Ora si è optato per una sintesi diversa. Ma i magistrati non devono pensare male di loro stessi. Devono avere maggior rispetto per le loro prerogative. Considerare che hanno, e avranno sempre, autonomia e indipendenza.
La riforma non è la vendetta 33 anni dopo Mani pulite.
Sarebbe ridicolo. A meno di non considerare l'affermazione della terzietà come una vendetta. O che lo stesso Falcone, nell'invocare la terzietà, voleva vendicarsi.