PHOTO
ANTONIO TAJANI, MINISTRO DEGLI AFFARI ESTERI E DELLA COOPERAZIONE INTERNAZIONALE, BENJAMIN NETANYAHU, PRIMO MINISTRO ISRAELIANO
Quando due vicepremier, uno dei quali ministro degli Esteri, e il ministro della Difesa dicono tre cose diverse mentre la presidente del Consiglio se ne sta muta «cercando la sintesi» si può dire con assoluta certezza che il governo, più che diviso, versa in condizioni di gravissimo imbarazzo. Diviso in realtà lo è fino a un certo punto.
Il giudizio sul mandato d’arresto internazionale contro il premier israeliano Netanyahu e l’ex ministro della Difesa Gallant è in realtà unanime e seccamente negativo. Anche Crosetto, l’unico a dire chiaramente che quel mandato va rispettato, premette che però è ingiusto e figurarsi se a lui, che di Gallant è amico personale, piace l’idea di minacciare di manette l’ex omologo israeliano.
Il problema è cosa fare di fronte a una sentenza considerata sbagliata nonché controproducente ed è di quelli assai spinosi. Passi per le posizioni personali, che nel governo sono molto più filoisraeliane di quanto la premier non mostri e già quello non sarebbe poco. Ci si potrebbe passare sopra in nome delle esigenze diplomatiche ma c’è di più. Il sostegno a Israele, per quanto paradossale possa sembrare, è oggi una delle principali bandiere della destra in tutto l’Occidente. Sfuggono alla regola i gruppi apertamente neofascisti, come CasaPound e Forza Nuova in Italia, ancora legati al buon vecchio antisemitismo nero ma questo rappresenta casomai un’ulteriore spinta, per la destra che si è tolta la camicia nera, per confermare il sostegno a Israele.
Poi c’è il problema Trump. The Donald è un tipo imprevedibile. Non è mica detto che, una volta insediatosi a White House, confermi la posizione assunta in campagna elettorale, quella secondo cui Bibi dovrebbe «finire il lavoro». Però la scelta di nominare ambasciatore in Israele l’ex governatore dell’Arkansas Mike Huckabee, il predicatore che solo a nominare la Cisgiordania gli viene l’orticaria e infatti non la nomina preferendo parlare di Giudea e Samaria, sembra indicare che il presidente Trump potrebbe non rivelarsi molto diverso dal candidato Trump.
La premier e il governo devono già farsi perdonare lo schieramento pasdaran con Kiev. Ovvio che aggiungere una nuova divaricazione sul Medio Oriente non faccia piacere. Poi c’è il nodo, ultimamente sempre rimosso, della sovranità. Rivendicare sovranità nazionale per anni, e ancora oggi per quanto sussurrando invece che strillando, si coniuga fino a un certo punto con il farsi ordinare quali capi di Stato si possano accogliere e quali no.
Ma il problema è proprio questo: l’Europa. Salvini può permettersi di ignorare l’Unione e proclamarsi lieto di accogliere e ospitare quello che la Cpi considera un criminale perché lui con l’Europa vuole avere pochissimo a che fare e del resto è la stessa posizione del suo leader nel gruppo dei Patrioti, Viktor Orban. Per gli altri è un’altra storia e in particolare lo è per FdI, partito contro il quale l’accusa di sornione antieuropeismo è sempre pronta a partire. Figurarsi poi a quattro giorni dal voto dell’Europarlamento sulla commissione von der Leyen bis, con una quantità imprecisata ma non insignificante di socialisti orientata a votare contro. Poter accusare di manifesto antieuropeismo la pietra dello scandalo, cioè proprio il partito di Giorgia e del commissario Fitto, farebbe lievitare il numero dei dissenzienti.
Non a caso la dichiarazione di Crosetto, cioè la promessa di uniformarsi pur dissentendo al dettato europeo è arrivata a stretto giro dopo che da Bruxelles avevano sottolineato che tutti gli Stati europei sono tenuti a accogliere il verdetto della Corte.
Per tirarsi fuori dal guaio la premier conta sulla riunione dei ministri degli Esteri del G7 che si terrà lunedì e martedì ad Anagni. Con gli Usa che, anche con l’amministrazione Biden, schierati contro la sentenza la speranza è che si aprano spiragli per non dover scegliere tra l’Europa da un lato e la difesa della sovranità, nonché una delle principali bandiere della destra, dall’altro.
Ma le possibilità di trovare un riparo ad Anagni sono in realtà esigue, anche perché l’opposizione, o almeno l’asse Pd- M5S- Avs non ha alcuna intenzione di perdere l’occasione per sfruttare e amplificare le difficoltà del governo. Vogliono che lo psiscodramma della destra si consumi in Parlamento. Possibilmente in diretta tv.