Alfredo Mantovano è tra le figure di maggior peso, nel governo Meloni. Ma è anche tra i meno inclini alla proiezione mediatica. Ed è proprio per questo che il suo affilatissimo intervento di oggi all’inaugurazione dell’anno giudiziario del Cnf lascia il segno. Sia per la parte in cui lascia intendere il significato che di fatto, per l’Esecutivo, assume la separazione delle carriere, e cioè il riequilibro tra i poteri, sia per l’attribuzione all’avvocatura di una funzione di garanzia, di “chiusura” del sistema, che forse corrisponde alla più profonda radice della proposta di riconoscere l’avvocato in costituzione.
Si potrebbe confondere il discorso pronunciato questa mattina da Mantovano con un “attacco” ai magistrati. Ma è una semplificazione che oscura l’analisi. Perché il sottosegretario alla Presidenza riflette in una chiave più generale sullo stato della democrazia e della giustizia.

Parte dalle «tensioni» che pregiudicano i rapporti tra le istituzioni nei sistemi democratici. Vede una «sovranità popolare» compromessa. Anche dalle diverse forme di «aggiramento» della sovranità che si scorgono sul fronte giudiziario. Intanto descrive una tendenza della magistratura a «introdurre, per via giurisdizionale, norme che il Parlamento, espressione della sovranità popolare, non ha mai approvato».

Ci si arriva attraverso «una sorta di shopping, oserei dire, che il giudice compie con la scelta, nel reticolo del cosiddetto multilevel delle fonti, di quei riferimenti che possano avvalorare una determinata decisione». Sembra esserci dunque una preordinata ricerca delle basi in grado di «giustificare la disapplicazione di regole che invece nell’ordinamento sono formalmente inserite. Una modalità a cui si assiste, per esempio, in materia di immigrazione».
Difficile non scorgere il riferimento alle pronunce con cui nei mesi scorsi diversi Tribunali e Corti d’appello italiani hanno disapplicato le norme, di matrice governativa, sulla definizione dei “Paesi sicuri” nei quali è legittimo rimpatriare i migranti irregolari. Tanto più che a questa specie di “disapplicazione orientata” ci si arriva, dice Mantovano in modo apertamente polemico, «dopo averla annunciata in convegni e scritti...». E qui è impossibile non cogliere un riferimento ai giudici di Roma le cui decisioni hanno innescato per prime il conflitto fra magistratura e governo.
Ora, l’intero discorso di Mantovano guarda al rischio che un simile approccio dei magistrati indebolisca «il principio di sovranità sancito all’articolo 1 della Costituzione», principio che «io credo non possa essere considerato come superato dalla storia». E non si tratta solo dell’Italia e delle pronunce sui migranti, sui Paesi sicuri e sul “Modello Albania”: il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio cita anche «la leader francese Marine Le Pen», raggiunta dalla recente misura dell’ineleggibilità.

«Colpisce che esponenti politici di schieramenti opposti si siano detti perplessi sulla proporzionalità fra il reato contestato e una pena accessoria del genere. Certamente va accertata la onorabilità» di chi svolge funzioni di rappresentanza, ma questo principio va affermato «nel rispetto della presunzione di non colpevolezza», e in modo da garantire con altrettanta forza «il principio di sovranità».

Mantovano prefigura il rischio che così si alimenti «il sospetto di magistrati condizionati dalla loro personale ostilità nei confronti di un certo esponente politico». Ma in un quadro così precario di rapporti fra il potere giudiziario e, appunto, chi esercita la rappresentanza democratica, emerge il ruolo “sistemico” dell’avvocatura: alla quale, certo, non spetta decidere, ma che può acquisire comunque una funzione di «garante» di quell’equilibrio precario attraverso una «funzione maieutica».

Il sottosegretario si riferisce al ruolo del difensore «nell’orientare il giudice verso una determinata decisione». Mantovano, che proviene a propria volta dalla magistratura e che è spesso considerato come una figura centrale dell’attuale maggioranza sulla giustizia, ritiene condivisibile «la funzione, rivendicata dal presidente Greco per l’avvocatura, di vigilanza sullo Stato di diritto: davvero gli avvocati possono dare molto, da questo punto di vista». E per il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio è evidente che quella funzione riguardi non solo «il processo» ma appunto la stessa ricomposizione della frattura tra i poteri.

È in questa cornice che Mantovano inserisce la separazione delle carriere: come parte di un riequilibrio che, visti i presupposti, non sarà comunque semplice ritrovare.