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Entro venerdì il governo deve presentare la Nota di aggiustamento al Def, promo passo della manovra annuale, la legge di bilancio che deve essere definita entro fine ottobre, previo passaggio sui tavoli della commissione europea a metà mese. E' sensazione diffusa che la legge di bilancio considerata proibitiva fino all' 8 agosto sia diventata una passeggiata in pianura, se non proprio in discesa, dopo il cambio di maggioranza. Non si tratta di una fantasticheria del tutto irragionevole ma neppure di una previsione del tutto credibile.
Lunedì scorso, ancora prima che Mario Draghi pronunciasse nel nuovo Parlamento europeo il suo rapporto sullo stato dell'economia nell'Unione e già Renato Brunetta suonava la campana a morto: «La prossima manovra sarà lacrime e sangue». Discorso esagerato, da parte di un non disinteressato esponente dell'opposizione. Ma anche discorso non privo di fondamenta da parte di un politico che in materia è tra i pochi competenti. Le parole di Draghi, poco dopo, hanno confermato in realtà l'analisi di Brunetta, anche se non necessariamente le apocalittiche conclusioni.
L'economia dell'eurozona, ha detto in sintesi il presidente della Bce, va anche peggio di quanto previsto, e si trattava già di previsioni fosche. Non si vedono segni di ' rimbalzo', non c'è sentore di ripresa all'orizzonte. Per l'Italia è una pessima notizia. La crisi, si sa, riguarda in primo luogo il settore manifatturiero e dunque soprattutto la Germania, il principale Paese verso cui sono dirette le esportazioni italiane. Bisogna anche tener conto della specifica natura della produzione italiana, secondo Paese manifatturiero della Ue dopo la Germania.
Quella italiana non è tanto produzione di prodotto finito quanto di componenti del prodotto finito. Vuol dire che il calo della produzione in Germana si ripercuote immediatamente sulle esportazioni italiane. La crisi, del resto, ha già provocato un calo secco nelle previsioni di crescita Istat, dimezzate rispetto a quelle del governo italiano nell'aprile scorso, che si è nel concreto rimangiato i frutti succosi del calo dello spread dovuto all'entusiasmo dei mercati per la dipartita dal governo di Salvini.
Certo la medaglia ha il suo rovescio, sul quale, si sa, conta proprio l'Italia. Alle prese con una recessione in casa, la Germania dovrà diventare meno rigorista e Bruxelles seguirà a ruota. Strappare flessibilità diventerà molto più facile. Anche da questo punto di vista, però, le conclusioni di Draghi non autorizzano eccessivi ottimismi. Il presidente uscente della Bce, infatti, ha sì detto che i Paesi a basso debito devono spendere per fronteggiare la minaccia recessiva. Ma quelli ad alto debito, ha aggiunto, devono invece insistere col rigore e tenere sotto controllo stretto il deficit strutturale. Proprio nello stesso momento il debito italiano toccava un nuovo record: 134% e passa rispetto al Pil. Impossibile equivocare su quale Paese fosse il principale destinatario del monito di Draghi.
La Ue, certo, concederà alla replica di Conte molto più di quanto avrebbe concesso al Conte originale. Ma l'obiettivo italiano è fissare il deficit, nella Nota di venerdì prossimo, al 2,2%. Dunque ben più alta di quel 2,04% che la commissione aveva imposto l'anno scorso. In ballo ci sono una decina di miliardi e per una manovra che alla fine potrebbe essere più vicina ai 30 mld che non ai 25 non è poco. Anche l'ipotesi di investimenti verdi non computati nel conteggio del rapporto deficit/ Pil, richiesta già avanzata dal ministro dell'Economia Gualtieri, potrebbe rivelarsi meno priva di ostacoli dell'auspicato. La Golden Rule verde verrà probabilmente concessa, ma potrebbe essere subordinata a vincoli tali da rivelarsi un toccasana meno potente del necessario.
In questa cornice, procedere con le due misure fondamentali per Di Maio, il taglio del cuneo fiscale a favore dei lavoratori e il salario minimo, sarà probabilmente impossibile. L'ipotesi sulla quale lavora Gualtieri è quello di partire sì con l'intervento sul cuneo fiscale, ma scansionandolo nell'arco di tre anni, per non dover rintracciare subito i 5 mld necessari. Sul salario minimo, invece, è notte fonda.
Ma in fondo il vero problema, l'incognita dalla quale dipende in una certa misura tutto il corso futuro di questo governo, non riguarda tanto le voci di uscita quanto quelle di entrata. Alla fine almeno una quindicina di mld sarà necessario trovarla ma il veto di Di Maio e Renzi su qualsiasi nuova tassa è categorico. La disfida dello scorso week end sulla eventuale tassa su merendine e bibite gassate è indicativa: in ballo non c'è solo l'oggetto del contendere ma un'intera linea del Piave. Di nuove tasse non si deve sentir neppure parlare. In queste condizioni la manovra che inizierà a decollare fra tre giorni forse non sarà l'inferno che profetizza Brunetta. Ma neppure un giardino dell'Eden.