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La Corte Costituzionale
L’esecuzione del mandato d’arresto europeo non può andare a discapito dei diritti fondamentali della persona interessata: così venerdì la Corte costituzionale con due sentenze (redattore Francesco Viganò).
Primo caso: un tribunale croato aveva chiesto la consegna di un cittadino italiano, assistito dagli avvocati Nicola Canestrini e Vittorio Manes, con gravi disturbi psichici (aveva tentato, tra l’altro il suicidio), per sottoporlo a processo per detenzione e spaccio di stupefacenti. La Corte d’appello di Milano aveva chiesto che fosse dichiarata incostituzionale – per contrasto con il diritto fondamentale alla salute – la mancata previsione della possibilità di rifiutare la consegna di una persona affetta da patologie croniche di durata indeterminabile, incompatibili con la custodia cautelare in carcere. La Consulta nel 2021, riconoscendo che le questioni prospettate «non concernono soltanto la compatibilità con le disposizioni della Costituzione italiana, ma coinvolgono preliminarmente l’interpretazione del diritto dell’Unione europea, del quale la legge nazionale censurata costituisce specifica attuazione», ha interpellato a sua volta la Corte di Giustizia, condividendo il deficit di tutela. I giudici europei hanno stabilito che, in ipotesi eccezionali di grave rischio per la salute della persona, i giudici che ricevono la richiesta devono sollecitare le autorità giudiziarie dello Stato richiedente a trasmettere informazioni sulle condizioni nelle quali la persona verrà detenuta o ospitata, in modo da assicurare adeguata tutela alla sua salute, eventualmente anche collocandola in una struttura non carceraria. Soltanto nell’ipotesi in cui le interlocuzioni non consentano di individuare una simile soluzione, l’esecuzione del mandato d’arresto potrà essere rifiutata.
Alla luce di queste indicazioni, la Consulta ha giudicato non fondata la questione sollevata dalla Corte d’appello, ritenendo che il meccanismo ora configurato dai giudici di Lussemburgo sia idoneo a fornire adeguata tutela al diritto fondamentale alla salute. «La Corte - ha spiegato al Dubbio l’avvocato Manes - ha condiviso, nella sostanza, i profili di illegittimità lamentati dal giudice rimettente e dalla parte privata ed ha rilevato un chiaro contrasto con i diritti fondamentali, del resto già evidenziato anche dalla Corte di Giustizia. Per superare tale contrasto, ha ritenuto non necessaria una declaratoria di incostituzionalità della legge italiana ma sufficiente una interpretazione costituzionalmente orientata, consentendo al giudice richiesto di eseguire il Mae di rifiutarlo nel caso in cui il diritto di salute dell’imputato non sia adeguatamente tutelato dallo stato richiedente».
Secondo caso: l’autorità giudiziaria rumena aveva richiesto all’Italia la consegna di un cittadino moldavo, condannato per reati di evasione fiscale. L’uomo, tuttavia, era da tempo radicato in Italia, dove aveva significativi legami lavorativi, sociali e familiari. La Corte d’appello di Bologna aveva chiesto che fosse dichiarata incostituzionale la mancata previsione della possibilità di rifiutare la consegna di un cittadino di uno Stato non appartenente all’Unione europea, ma stabilmente radicato nel territorio italiano, per consentirgli di scontare la sua pena in Italia. I giudici bolognesi osservavano che questa possibilità è già oggi prevista per i cittadini italiani e per quelli di altri paesi dell’Unione, ma non per i cittadini extracomunitari. La Consulta aveva, anche qui, sottoposto il quesito alla Corte di Giustizia. Quest’ultima ha stabilito l’incompatibilità con il principio di uguaglianza davanti alla legge, sancito dall’articolo 20 della Carta europea dei diritti fondamentali. Sulla base di questa sentenza, la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo l’articolo 18- bis della legge n. 69 del 2005, che disciplina nell’ordinamento italiano il mandato d’arresto europeo, «nella parte in cui non prevede che la corte d’appello possa rifiutare la consegna di una persona ricercata cittadina di uno Stato terzo, che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano», alle condizioni precisate dalla Corte di giustizia, affinché possa scontare la propria pena in Italia, per favorirne il reinserimento sociale.