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Secondo il rapporto dell’associazione Antigone, presentato tre giorni fa, è in aumento il numero dei detenuti nelle carceri minorili, a causa del decreto Caivano, voluto dal Governo di centrodestra.
«Non mi pronuncio su chi abbia o meno la responsabilità di quanto sta accadendo – ci dice Carla Garlatti, Autorità garante per l’infanzia e l’adolescenza – Non si può negare che ci sia un aumento oggettivo dei detenuti negli istituti minorili. Si applica maggiormente la misura restrittiva del carcere rispetto a quanto succedeva precedentemente. Abbiamo infatti dei numeri che non si erano mai registrati in maniera così elevata negli ultimi dieci anni».
Per la dottoressa Garlatti, già Presidente del Tribunale per i Minorenni di Trieste, «se la volontà dell’inasprimento delle pene era quella di rappresentare un deterrente nei confronti di determinate condotte illecite, direi che i risultati che ci vengono proposti non vanno nella direzione sperata». Un fattore di critica sottolineato da molti è che inoltre il dl Caivano prevede la custodia cautelare anche per i fatti di lieve entità legati alle sostanze stupefacenti. Chiediamo alla Garante se sia questo il giusto metodo per affrontare il problema: «quando si parla di minorenni occorre sempre mettere in primo piano la fase rieducativa. Ci sono delle misure contenitive, ad esempio quella delle comunità al posto del carcere. In alcuni casi, e quello delle sostanze stupefacenti può essere uno di questi, la misura contenitiva può essere necessaria. La reclusione dei minorenni deve essere sempre l’extrema ratio. E quando viene applicata la misura della custodia in carcere deve essere accompagnata dalle misure rieducative».
Ribadisce Garlatti: «siamo dinanzi a persone minorenni che, quindi, sono ancora in crescita, che si possono e si devono recuperare. Occorre quindi lavorare molto sul recupero. Per i minorenni è possibile raggiungere questo obiettivo anche con risultati soddisfacenti». La Garante sottolinea poi come «la preoccupazione per una già grande carenza di educatori che ora si farà sentire maggiormente con l’aumento di ingressi negli Ipm. Più ragazzi da rieducare e meno personale a disposizione». Un po’ come avviene anche negli istituti di pena per i maggiorenni. Insomma una criticità di sistema. L’impressione è che la "cultura” sottesa al provvedimento, si legge nel rapporto Antigone, sia quella del “punire per educare”: «la sanzione serve, in alcuni casi è necessaria, ma deve essere proporzionata al fatto commesso. E da sola non è educativa, anzi talvolta può peggiorare la situazione. Essa deve essere accompagnata da programmi educativi specifici e mirati sul singolo ragazzo».
Come Autorità avete espresso perplessità rispetto alla previsione che esclude la possibilità di ricorrere alla misura della messa alla prova nelle fasi successive quando questa sia stata concessa in fase preliminare e abbia avuto esito negativo: «Questa ipotesi netta era presente nella prima formulazione del decreto ma per fortuna non è entrata nella stesura definitiva. In quella occasione avevo segnalato che l'esito negativo del percorso rieducativo nella fase delle indagini preliminari non avrebbe potuto comportare il divieto assoluto di accedere alla messa alla prova nelle fasi successive. E questo perché un ragazzo in crescita può maturare nel tempo e acquisire una maggiore consapevolezza».
Insieme a questo per la Garante «la strada deve essere quella delle misure alternative insieme a quella della giustizia riparativa. Quest’ultima – si faccia attenzione – non sostituisce il procedimento penale ma lo affianca. Si tratta di una importante iniziativa perché consente al minorenne o alla minorenne di avere coscienza dell’errore commesso e di prendere in considerazione la vittima - che è la grande dimenticata del processo minorile, tanto è vero che non può costituirsi parte civile -».
Per la Garante «prendere piena consapevolezza del male che si è procurato può essere fondamentale soprattutto per determinati gravi reati per evitare la ricaduta e scongiurare la recidiva». In conclusione, ci dice la dottoressa Garlatti: «mi dispiace che si parli poco dei minori e che quando lo si fa si usi una narrazione negativa. Noi abbiamo fatto un sondaggio "Il futuro che vorrei” dal quale è emerso che i ragazzi sognano un futuro e si impegnano per realizzarlo».