Tra i motivi richiamati dal legislatore alla base del disegno di legge costituzionale sulla magistratura c’è la necessità di restituire fiducia nell’ordine giudiziario. Può darsi si tratti di un argomento pretestuoso, utile a mimetizzare ragioni più schiettamente politiche, di unità dell’attuale coalizione di governo. Ma è innegabile che a favorire la sfiducia nella giustizia sia anche l’impressione, diffusa tra i cittadini, di un rigore non proprio ineccepibile, nel “governo autonomo” dei magistrati, e in particolare nel controllo disciplinare sulle condotte dei singoli. Lo confermano gli esempi riportati ieri su queste pagine, a cui se ne possono aggiungere altri, come quelli che seguono, tratti sempre dalla giurisprudenza degli ultimi dodici mesi.

Sentenza n. 3/2024. “In tema di illeciti disciplinari dei magistrati, la condotta del magistrato integrante gli estremi dell’illecito disciplinare previsto dall’art. 9 sexies, commi 1 e 3, del decreto-legge n. 52 del 2021, per aver fatto accesso presso i locali dell’Ufficio Giudiziario senza essere in possesso della valida certificazione verde Covid 19 può essere ritenuta di scarsa rilevanza ai sensi dell’art. 3 bis del d.lgs. 109 del 2006 qualora, alla stregua di una valutazione globale della vicenda, la lesione del bene giuridico “specifico” della salute e dell’incolumità pubblica non sia stata affatto grave, laddove ad una verifica ex post ed in concreto la condotta del magistrato non ha mai esposto a contagio né messo a repentaglio il bene della salute singola e collettiva”. Un magistrato si reca dunque in un ufficio giudiziario senza essere in possesso della certificazione atta a dimostrare di essere vaccinato nel periodo pandemico. Quello che ad altri dipendenti pubblici sarebbe costato ben più di un buffetto sulle guance, al magistrato non costa nulla perché qualcuno – non si sa bene chi e come – ha accertato, naturalmente ex post e non sapremo mai quanto ex post, che non ha esposto a contagio o messo a rischio la salute anche solo di una singola persona.

Sentenza n. 6/2024. “In tema di illecito disciplinare conseguente a reato, sebbene l’avvenuta pubblicazione, sul profilo Facebook di un magistrato, di tre post contenenti affermazioni offensive nei confronti di un Ministro della Repubblica italiana integri la fattispecie di cui di cui all’art. 4, lett. d), d.lgs. n. 109 del 2006, può addivenirsi all’applicazione dell’art. 3 bis d. lgs. n. 109/2006 se il magistrato abbia riconosciuto l’inopportunità dei toni usati, se l’evento non abbia avuto alcuna eco mediatica e se non sia risultata intaccata in alcun modo la figura professionale dell’incolpato”. Questa massima ci dice che un magistrato può offendere ripetutamente un Ministro, avvalendosi della propria pagina Facebook, purché abbia l’accortezza di ammettere, va da sé ex post, di avere sbroccato e la fortuna che i suoi post non abbiano avuto alcuna eco mediatica e non ne abbiano intaccato la sua figura professionale. Bisognerebbe dunque credere che le esternazioni inopportune dell’incolpato siano state nient’altro che un soliloquio, nel senso che non disponesse di alcun contatto su Facebook sicché era come parlarsi allo specchio mentre si radeva.

Sentenza n. 53/2024. In tema di responsabilità disciplinare dei magistrati, in caso di assunzione di incarico di coordinamento dei corsi per la preparazione all’accesso alla professione di avvocato e dei corsi di preparazione al concorso per magistrato ordinario senza la prescritta autorizzazione del C.S.M., trattandosi di incarico autorizzabile, essendo stato conferito da un ente pubblico sulla base di una legge regionale (legge della Regione Lazio 11 luglio 1987 n. 40), non può non rilevare, ai fini del riconoscimento dell’esimente di cui all’art. 3 bis d.lgs. 109/2006, la sua gratuità. Infatti, proprio la gratuità dell’incarico comporta una lesione del bene giuridico tutelato dalla norma disciplinare di non apprezzabile consistenza, non essendo stati esposti a rischio i valori dell’indipendenza ed imparzialità per effetto di gratificazioni o compensi collegabili agli incarichi concessi”. Un magistrato ottiene un incarico extra-giudiziario e lo assume senza preoccuparsi di chiedere preventivamente l’autorizzazione prescritta. Viene perdonato perché non ha ricevuto alcun compenso. Non risulta tuttavia che la gratuità dell’incarico esoneri dall’obbligo di chiedere l’autorizzazione: si introduce pertanto una giustificazione di pura creazione pretoria e, ciò che più conta, si manda un brutto messaggio ai tanti magistrati che in occasioni analoghe hanno assolto diligentemente quell’obbligo.

MASSIME DELLA PROCURA GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE 

Rispetto a questa seconda parte, chi scrive non avverte il bisogno di commentare, ritenendo che le massime elencate, come si suol dire, si commentino da sole.

24/09/2024. “Non integra illecito disciplinare la redazione della motivazione del provvedimento tramite il ricorso alla tecnica del “copia-incolla” da un blog trovato su internet, qualora la decisione si sia fatta carico della questione di diritto oggetto di causa e il giudice abbia comunque inteso aderire alla giurisprudenza in materia, richiamata nell’articolo pubblicato sul sito”.

10/07/2024.“Non commette l’illecito disciplinare di cui all’art. 2, comma 1, lettera e) del d.lgs. n. 109/2006 il magistrato che discuta con il pubblico ministero titolare delle indagini per un grave reato commesso a danno di suoi conoscenti, astenendosi dall’esercitare qualsivoglia forma di pressione o tentativi di condizionamento, escludendosi in tal caso anche solo il pericolo di incidenza sullo svolgimento delle indagini”.

16/05/2024. “La pubblicazione di commenti a sfondo sessuale e di contenuto sessista sul proprio account social aperto al pubblico – nel quale il magistrato indichi nel profilo la qualifica e la specifica funzione ricoperta, corredando i dati con la propria immagine fotografica in toga – non rientra in alcuno degli illeciti extra-funzionali previsti dall’art. 3 del d.lgs. n. 109/2006, neppure in quello di cui alla lettera a), non essendo tale comportamento caratterizzato dalla finalità ivi richiesta di ottenere benefici o ingiusti vantaggi per sé o per altri”.