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Giorgetti
Sbaglierebbe chi credesse nell’appoggio che ieri, in un’intervista, Emmanuel Macron ha espresso ad Angela Merkel alla guida della prossima Commissione Ue. Non tanto perché la Cancelliera ha sempre detto di non volere alcun incarico europeo, tenendo cosí ben coperto il suo vero gioco, quanto perché quell’affermazione del presidente francese assolve due obiettivi prioritari per la Francia: ribadire il no al Popolare tedesco Manfred Weber - che della Merkel è il candidato- a presidente della Commissione. E soprattutto stoppare - grazie al “criterio geografico”, poiché dei 5 top jobs Ue la Germania può averne uno, ma non certo due- il vero gioco di Merkel: il capo della Bundesbank Jens Weidman presidente della Bce.
Ruolo per il quale Macron ha due candidati, Benoît Coeuré e François Villeroy de Galhau, ma è sul primo che punta. E sia lecito osservare che se l’Italia decidesse di uscire dall’isolamento internazionale e di recuperare un qualche principio di razionalità appoggerebbe immediatamente i disegni di Macron sulla Banca centrale europea: Coeuré, attualmente nel Consiglio direttivo dell’Eurotower, è considerato l’uomo più vicino a Mario Draghi, quello che più ne ha condiviso la politica di quantitative easing che invece, dalla Buba, il tedesco Weidman osteggiava. Un uomo, insomma, di cui l’Italia come nessun altro avrebbe bisogno.
Invece, la politica che Roma sta mettendo in campo ( tra mille contraddizioni e incertezze, come rilevava ieri anche l’ex premier Paolo Gentiloni “i governi sono ormai tre, Salvini, Di Maio e Tria”) è di piccolo cabotaggio. Cercando la via dello scambio tra l’appoggio per i top jobs ai nomi graditi ad altri e una certa clemenza verso i nostri conti pubblici.
Juncker e Moscovici, il presidente e il commissario che hanno in mano l’avvio della procedura per debito ( il conto che la Ue ha fatto arriva a 160 miliardi), hanno nelle ultime ore ribadito che essa ci sarà, che equivarrà a un semi- commissariamento dell’Italia per molti anni, a meno che non si avvii un preciso programma di rientro del debito.
E della cosa comincerà a discutere in Lussemburgo Giovanni Tria, alle riunioni di oggi e domani dell’Eurogruppo: avendo per l’appunto come unica freccia nel carniere la carta dell’appoggio a questa o quella nomina.
Il nome del successore di Juncker invece lo si saprà dopo il Consiglio europeo del 20 e 21 giugno: la nomina avviene per votazione a maggioranza qualificata - che nella Ue significa voto a favore di almeno il 55% dei Paesi che siano espressione di almeno il 65% della popolazione europea- e Merkel non potrà imporre Weber: i premier del Ppe sono 9, se si aggiungessero i conservatori di destra polacco e austriaco, e l’italiano Conte, si arriverebbe a 12 Paesi su 27. Unico grande Paese a governo populista/ sovranista, l’Italia non è in condizione nemmeno di far blocco con i piccoli “alleati” del gruppo di Višegrad. Ma solo dopo la nomina del presidente si entrerà nel vivo della questione sul nome del commissario italiano, e del suo portafoglio. Come anticipato dal Dubbio settimane fa, Conte punta alla Concorrenza.
Per un ruolo pesante però occorre avere personalità all’altezza, e nessuno dei nomi sortiti dal primo giro d’orizzonte ( Fontana, Zaia) passerebbe le maglie delle audizioni in Parlamento, neanche Giancarlo Giorgetti, bruciatosi con l’appoggio ai minibot.
Infatti, cominciano a circolare altri nomi, e quelli di Giulio Tremonti e Franco Frattini innanzitutto. Fosse solo per ragioni caratteriali e per europeismo, più saggio proporre il secondo che non il primo. Sempre che non si scelga di liberare la casella della Farnesina, candidando Moavero Milanesi.