C’ è poco da fare. La magistratura antimafia non si rassegna all’idea di dover ottenere prima una condanna, per poter vedere poi inflitta una pena. È un rifiuto ideologico comune a gran parte dei pubblici ministeri italiani che ricorrono alle misure di prevenzione previste dal Codice (“al secolo” il decreto legislativo 159 del 2011). Pm i quali pensano che la loro missione valga bene anche un’ingiustizia, inclusa la pena, per esempio la confisca di ogni bene, inflitta a un innocente.

Non si rende conto, la magistratura antimafia, di porsi sullo stesso piano dell’agente dei Servizi che in un sottovalutato film italiano del 2007, “Notturno bus”, dopo aver fatto fuori l’ennesimo malcapitato che non c’entrava nulla, dice al collega: “Che dici, questo ce lo passano come vittima necessaria?”.

Una vittima necessaria: ecco cosa temiamo rappresentino, per alcuni magistrati, i fratelli Cavallotti. Non riusciamo a credere che possa pensarla così anche una persona perbene come Federico Cafiero de Raho, già procuratore nazionale Antimafia e oggi deputato 5 Stelle. Non può essere questo il senso dell’interrogazione a risposta scritta ( la numero 4/ 02282) che de Raho ha presentato, il 6 febbraio dello scorso anno, a Presidenza del Consiglio e ministro della Giustizia, e in cui dice, sostanzialmente: sappiamo che è in corso, davanti alla Corte europea dei Diritti dell’uomo di Strasburgo, una causa che vede contrapposti lo Stato italiano e “alcuni imprenditori siciliani nel settore del gas (i fratelli Cavallotti)” che si erano visti confiscati tutti i loro beni (incluse le case in cui abitavano, nota dell’articolista) e che vennero poi assolti, nel vero e proprio processo penale, dalle stesse accuse poste alla base delle confische. Si sa pure – è il senso del discorso di de Raho, corroborato dal sostegno di metà gruppo parlamentare dei 5S alla Camera – che se i Cavallotti vedessero riconosciuto, dalla Corte di Strasburgo, il loro diritto a ottenere almeno un risarcimento, verrebbe di fatto sancito che non è giusto confiscare beni agli innocenti, laddove confiscare beni personali a prescindere dalla colpevolezza è necessario, oppure cade il “pilastro del contrasto delle mafie in Italia e in Europa”. Conclusione del discorso: tu, caro governo, devi «assumere presso le debite sedi del Consiglio d’Europa (a cui afferisce la Cedu, nda) tutte le possibili “iniziative» per fare in modo che i Cavallotti perdano la causa.

Dal punto di vista di de Raho è dunque insignificante la circostanza per cui a questi fratelli – divenuti, insieme col giovane Pietro e gli altri Cavallotti della “seconda generazione”, il simbolo delle abnormità consumate in nome della lotta alla mafia – sia stata inflitta una pena, la perdita di ogni bene, a fronte di un’innocenza definitivamente accertata. È vero: se i giudici di

Strasburgo comprendessero che così stanno le cose, è probabile che impediranno, alla magistratura italiana, di utilizzare ancora le misure di prevenzione antimafia con la stessa disinvoltura finora consentita. E quindi, cari Cavallotti, anche da queste colonne dobbiamo dirvelo: siete carne da macello. Dovete perdere. Se no le confische agli innocenti non si possono fare più. Avete sofferto? Sì. Ma vale sempre il discorso dello 007 interpretato da Pannofino in “Notturno bus”: siete vittime necessarie.

A breve la Cedu dovrà decidere se un simile modo di ragionare strida davvero così tanto con i diritti umani, con la Convenzione europea dei Diritti dell’uomo, per essere precisi. In tutto questo il governo, per voce del ministero della Giustizia, ha risposto all’interrogazione di de Raho, il 1° luglio dello scorso anno, in modo sorprendente, con una replica formale che suona più o meno così: non vi preoccupate, assolti o meno che furono, li faremo perdere, i Cavallotti. E perché? Perché il dicastero guidato da Carlo Nordio sostiene che i beni dei fratelli di Belmonte Mezzagno, in provincia di Palermo, sarebbero comunque contaminati da non meglio dimostrate “appartenenze” alla mafia. In realtà il processo penale vero, durato 15 anni, ha stabilito che non è vero, che i Cavallotti, semplicemente, furono costretti a pagare il pizzo, e che in una per loro fatale intercettazione, Provenzano parlava di quanto fosse urgente la “messa a posto” della loro azienda nel senso, tipico del gergo mafioso, e cioè che bisognava andare a imporre loro il pizzo. Vittime due volte: della mafia che li taglieggiava e dello Stato che, anziché proteggerli dai mafiosi sanguinari e parassiti, ha confiscato loro ogni bene.

L’avvocato che difende i Cavallotti a Strasburgo, Baldassarre Lauria, ieri ha diffuso una nota esterrefatta: l’interrogazione dei 5 Stelle, ha detto, «è un vero e proprio tentativo di interferenza nella giurisdizione indipendente della Corte europea», un «attacco allo stesso Stato di diritto», e manifesta «intolleranza ai diritti delle persone», al punto da minare «le basi della democrazia». Se avesse potuto, Fabrizio De André ci avrebbe regalato strofe bellissime, su questa storia. C’è da augurarsi che la Cedu, pur senza ambizioni poetiche, scriva semplicemente la verità.