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Luigi Di Maio fa l’equilibrista. Si muove col fiato sospeso tra ambizioni personali, pressioni interne per continuare la legislatura col Pd e minacce di scissione qualora ciò avvenisse. Eppure, non si tira indietro. Tratta con Nicola Zingaretti come avesse il coltello dalla parte del manico e preme per riproporre lo schema fallimentare del governo giallo- verde sostituendo semplicemente la Lega col Pd. Vuole fare ministro dell’Interno, poi fa un passo di lato, ma non molla su una poltrona decisiva, quella di vice premier. Una condizione considerata inaccettabile dai dem.
«Potrebbe far saltare l’accordo per interessi personali», spiegano da ambienti vicini al presidente della Camera Roberto Fico, «altro che patto per il bene del paese». Il capo politico vuole giocarsi tutte le carte per rimanere a Palazzo Chigi e punta sul sostegno di Giuseppe Conte. Ma è osservato a vista da chi vorrebbe far dimenticare in fretta al proprio elettorato la stagione salviniana.
In mattinata è Roberta Lombardi, consigliera regionale nel Lazio e prima capogruppo alla Camera della storia pentastellata, a lanciare la prima stilettata al leader del suo partito. «Il Pd dice che il problema nel far nascere un Governo di concretezza sarebbe Di Maio al Viminale», scrive quella che un tempo veniva appellata “la Faraona”.
«Sono sicura che il nostro capo politico non antepone se stesso al Paese. Non sarebbe da 5 Stelle. Partiamo invece da Conte- 2 e le cose da fare per l’Italia». Tradotto: caro Di Maio, abbassa le tue pretese.
Nel pomeriggio, tocca al fondatore Beppe Grillo inserirsi nel dibattito con un post onirico in cui il comico riferisce di un colloquio avvenuto tra lui e Dio, come conviene a ogni “elevato”. «Sbaglio oppure una delle paure più diffuse oggi in Italia è che lei torni in campo, signor Giuseppe?», è l’incipit con cui la “divinità” si sarebbe rivolta al Garante del Movimento 5 Stelle.
E dopo una serie di sproloqui sul ruolo storico che l’altissimo avrebbe riservato al comico, Dio/ Grillo inserisce un passaggio criptico sull’avidità nelle stesse ore in cui i rumors sulle condizioni personali poste da Di Maio rimbombano su tutti i mezzi d’informazione: «Da cosa crede sia mosso il poppante che ciuccia? Dal bisogno forse? No quella è semplice, essenziale, naturale ed ecologica avidità», scrive il fondatore favorevole all’intesa con Zingaretti, a vantaggio di chi volesse leggere un messaggio indirizzato al capo politico del suo partito, apparentemente intenzionato a non abbandonare almeno due delle tre poltrone di governo finora occupate.
Di Maio convoca i capigruppo, Francesco D’Uva e Stefano Patuanelli, e il presidente della commissione Antimafia Nicola Morra per fare il punto della situazione prima del nuovo incontro con delegazione Pd alla Camera.
Tra una riunione e l’altra, i ministri dei Trasporti e della Difesa, Danilo Toninelli e Elisabetta Trenta, che dovrebbero semplicemente “disbrigare” gli affari correnti, firmano insieme a Matteo Salvini il divieto d’ingresso per la nave Eleonore, della ong Lifeline, con a bordo 101 migranti soccorsi a largo delle coste libiche. Il segnale non piace per nulla ai dem, che tra i punti programmatici per siglare un’intesa hanno inserito la cancellazione di entrami i decreti sicurezza firmati dal segretario leghista.
Ma il blocco serve a placare i malumori dell’ala filo- Carroccio del Movimento, capitanata da Alessandro Di Battista. Il grillino scapigliato non fa mistero della sua allergia nei confronti del Pd e in mattinata pubblica un post su Facebook per complicare la trattativa.
Chiede al suo partito di porre tre condizioni al potenziale alleato: stop alle concessioni ai Benetton, riforma sullo sport per togliere potere a Malagò e legge sul conflitto d’interessi. «Io non ho sentito nessuno del Pd pronunciarsi su questo in questi giorni», aggiunge.
Chi si pronuncia è invece Massimiliano Romeo, capo dei senatori leghisti, che offre immediatamente la disponibilità del Carroccio a relizzare tutti e tre i punti insieme. Di nuovo. Lo scambio di cortesie infastidisce parecchio l’ala sinistra grillina che col fichiano Luigi Gallo replica: «Chi esplicitamente sta perseguendo la strada del voto o del ritorno con la Lega contro la volontà del gruppo parlamentare e Di Beppe Grillo non può dettare condizioni a nessuno».
Dibba, però, sa di non essere solo in questa crociata contro il Pd, interpreta un malumore diffuso nel Movimento e vorrebbe capitanarlo. Da Gianluigi Paragone a Stefano Buffagni sono in tanti a sentirsi in imbarazzo a condividere i banchi di maggioranza insieme al nemico storico.
E qualcuno, più istintivo, esce decisamente allo scoperto. È il caso di Davide Barillari, consigliere regionale laziale, che arriva a minacciare: «Di sicuro non morirò piddino. Insieme a tanti altri portavoce, a vari livelli, stiamo discutendo se arrivare alle dimissioni in blocco oppure a percorrere una nuova strada per far rinascere i valori del M5S». Quale minaccia peserà di più su Di Maio non è ancora dato saperlo.
Non lo sa neanche il Presidente della Repubblica, che poco prima delle consultazioni di ieri era pronto a sciogliere le Camere. Poi una telefonata ha bloccato tutto. Almeno per ora.