Il quadro della situazione dipende sempre dal punto di vista. E tale principio vale anche nel caso del rapporto sul Rule of law, che raccoglie le voci dei vari portatori di interessi, pronti pertanto a esaltare o criticare una riforma in base, appunto, al proprio interesse. Le notizie stampa sul rapporto - che fotografa la situazione dei Paesi europei con un lungo elenco di riforme, in molti casi ancora troppo fresche per valutarne gli effetti - hanno subito le solite, prevedibili, strumentalizzazioni.

Da un lato chi ha letto, tra le righe del documento, una critica feroce alle norme varate dal governo Meloni, liberticide a prescindere e capaci di minare indipendenza e autonomia della magistratura peggio che in alcune dittature. Dall’altro chi invece ha colto elogi per un Paese capace di migliorare i tempi della giustizia, digitalizzare e assumere toghe, collocando l’Italia ai primi posti in Europa. La verità, come sempre, sta in mezzo: il rapporto sembra un sunto di tutte le riflessioni sviluppate nel corso degli ultimi mesi, con le voci contrapposte di chi parla di successo e chi, invece, si straccia le vesti.

Che il rapporto sia utilizzabile come arma a seconda del sentimento lo si vede dalle reazioni: da un lato chi, come Repubblica, preconizza la tragedia dello Stato di diritto, tutta colpa del guardasigilli voluto da Giorgia Meloni. Dall’altro proprio lui, Carlo Nordio, che legge nelle 35 pagine stilate dalla Ue una promozione e non un allarme. «Sorpresi ed indignati per la falsa rappresentazione che alcuni organi di stampa hanno dato sul rule of law pubblicato ieri. Al contrario, nel valutare il settore chiave dei sistemi giudiziari, l’Italia risulta promossa sotto tutti i parametri - spiega il ministro con una nota -. In particolare, nelle 6 raccomandazioni conclusive, in numero pari alla media europea, non vi è alcun invito a modificare i recenti provvedimenti adottati sui reati contro la pubblica amministrazione».

In effetti, nonostante alcune sottolineature sull’abolizione dell’abuso d’ufficio rispetto al quadro europeo - nel testo si legge che «la criminalizzazione dell’abuso d’ufficio e del traffico d’influenze fanno parte delle convenzioni internazionali sulla corruzione e sono quindi strumenti essenziali per le forze dell’ordine e le procure per combattere la corruzione» -, non c’è un vero e proprio giudizio sulla scelta fatta dal governo italiano, se non quello espresso da Anac, Procura europea, Anm e Libera.

Insomma, non dall’Europa, che all’Italia raccomanda di «proseguire gli sforzi per migliorare ulteriormente il livello di digitalizzazione dei tribunali penali e delle procure; adottare la proposta legislativa in sospeso sui conflitti di interessi e adottare norme generali sul lobbying per istituire un registro operativo del lobbying, compresa un’impronta legislativa; affrontare in modo efficace e rapido la pratica di canalizzare le donazioni attraverso fondazioni e associazioni politiche e introdurre un registro elettronico unico per le informazioni sul finanziamento dei partiti e delle campagne elettorali; proseguire l’iter legislativo sul progetto di riforma sulla diffamazione, la tutela del segreto professionale e le fonti giornalistiche evitando qualsiasi rischio di impatti negativi sulla libertà di stampa e garantire che tenga conto degli standard europei sulla protezione dei giornalisti; garantire che siano in atto regole o meccanismi per fornire finanziamenti ai media di servizio pubblico adeguati alla realizzazione del loro mandato di servizio pubblico e per garantirne l’indipendenza e intensificare gli sforzi per creare un’istituzione nazionale per i diritti umani che tenga conto dei Principi di Parigi delle Nazioni unite».

Nessun riferimento allarmato alla separazione delle carriere, all’Alta Corte, all’abuso d’ufficio e a tutte le riforme finora messe in atto, con “consigli” in perfetta linea con quelli dati agli altri Paesi fondatori dell’Ue. Nulla, insomma, che suggerisca una preoccupazione delle istituzioni europee sulla situazione italiana. Anzi, sulla separazione si invita a fare di più: non esistendo, in Europa, una legge che la imponga o la vieti, è necessario operare con coerenza, applicando alle giurisdizioni speciali lo stesso metro usato per la magistratura ordinaria.

Nordio, dunque, legge il rapporto come un’incoronazione degli sforzi fatti: per quanto riguarda l’efficienza della giustizia, afferma, «è stato dato atto che le politiche giudiziarie adottate a livello nazionale, in questi due anni, hanno consentito di conseguire i risultati attesi garantendo all’Italia il titolo di Stato membro primo nel parametro valutativo della efficacia. Abbiamo ricevuto il plauso della Commissione europea anche sotto il parametro della qualità del servizio. Sono stati apportati miglioramenti significativi nell’assunzione di nuovi magistrati e personale amministrativo e gli addetti all’Ufficio del Processo hanno migliorato la produttività e la qualità del sistema giudiziario. La Commissione - conclude il ministro - premia l’Italia anche sotto l’aspetto della digitalizzazione. Elementi positivi emergono anche dalla valutazione del quadro anticorruzione che certifica a nostro favore il compimento di “ulteriori progressi nell’adozione di una legislazione globale in materia di conflitti di interessi”. Proseguiremo in questa direzione per migliorare ulteriormente. Resta l’amarezza per una falsa rappresentazione nociva all’immagine del Paese che sembra riflettere la volontà di una strumentale polemica piuttosto che rilevare il lavoro fatto sulla giustizia che è stato così tanto apprezzato dalla stessa Commissione».

C’è un punto nella relazione che forse è passato sottotraccia: una bassa percezione, da parte dei cittadini (36%) e delle aziende (42%), del livello di indipendenza della magistratura. Il motivo? A leggere toghe.blogspot.com, pagina virtuale di magistrati fuori dal coro, la colpa non è della politica fuori dalle aule di Tribunale, ma della politica dentro le aule: quella delle correnti. «I magistrati italici - voluti dal Costituente senza padrone - si sono auto assoggettati al potere politico - si legge -, quello interno del sistema lottizzatorio-correntizio, mantenendo una solo formale autonomia dai partiti politici, coi quali trattare ogni cosa (compreso chi distaccare ai ministeri)». Un punto di vista che, di certo, i “portatori d’interesse” non hanno raccontato.