Mimmo Lucano ha appena finito di festeggiare la sentenza della Cassazione quando arriva una telefonata che rischia di riaprire tutto. Dall’altro capo della linea, la Prefettura di Reggio Calabria: «La lista dei Comuni al voto – dice la voce di un viceprefetto – potrebbe essere aggiornata inserendo anche Riace». A rispondere al telefono è il segretario comunale della città dei Bronzi, da due giorni in festa per la conferma giudiziaria: il modello Riace, dice la sentenza, non era criminale. Unico neo: la condanna di Lucano a 18 mesi - pena sospesa - per un falso in una determina che non ha comportato nessuna spesa. La telefonata è una doccia fredda, perché, di fatto, preannuncia la possibilità che venga applicata la legge Severino. Che significa la decadenza di Lucano e il ritorno alle urne.

L’ipotesi getta il sindaco nello sconforto, convinto com’è che ci sia un accanimento contro lui e il suo modello, a prescindere dall’assoluzione sul punto. «Ce l’hanno con me per aver “cospirato” contro i lager libici? – si chiede esausto – Se questo è reato mi dichiaro colpevole di favoreggiamento dell’umanità, contro i complici dei torturatori e degli assassini di bambini riaccompagnati a casa con un volo di Stato. Se mi cacceranno potrò dire comunque di essere contento, perché nonostante i loro tentativi si è compiuto il percorso che avevo sognato. Per me era importante tornare a fare il sindaco, per dimostrare sul piano morale l’innocenza che altri non possono vantare, perché complici di chi ha le mani sporche di sangue».

Per il momento l’unica comunicazione arrivata dalla Prefettura è una mail che chiede l’indirizzo ufficiale del sindaco. Qualsiasi cosa sia prevista, arriverà lì. Dopo l’eventuale notifica, il Consiglio comunale avrà 10 giorni per riunirsi e ratificare l’eventuale decadenza. A quel punto Lucano potrà impugnare la decisione. Con ulteriore dispendio di forze, tempo e soldi.

Stando alla Severino, sono automaticamente sospesi dalle cariche pubbliche gli amministratori che ricadono nella casistica indicata nelle prime tre lettere del comma 1 dell’articolo 10 della Legge: chi ha ricevuto una condanna non definitiva per reati gravi, come mafia, traffico di droga, corruzione e altri reati contro la Pubblica amministrazione; chi è stato condannato in primo grado e la condanna è stata confermata in appello, se la pena è di almeno due anni di reclusione per un reato doloso; chi è stato sottoposto a una misura di prevenzione non definitiva, perché sospettato di appartenere ad associazioni mafiose o criminali. Nulla a che fare con Lucano. Il sindaco, infatti, è stato condannato per violazione dell’articolo 479 in relazione al 476, comma 2, del codice penale. Tale automatismo non dovrebbe dunque esserci: il reato di falso ideologico in atto pubblico (art. 479 c.p.) e falso materiale (art. 476, co. 2 c.p.) non rientra, infatti, tra quelli elencati nell’articolo 11. Ma c’è dubbio interpretativo: la lettera d) del comma 1 dell’articolo 10 (che disciplina l’ineleggibilità) prevede anche che non possono comunque ricoprire le cariche di presidente della provincia e sindaco coloro i quali hanno subito «condanna con sentenza definitiva alla pena della reclusione complessivamente superiore a sei mesi per uno o più delitti commessi con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o a un pubblico servizio diversi da quelli indicati nella lettera c)».

A Lucano non è contestato né l’abuso di potere né la violazione dei doveri inerenti alla pubblica funzione, anche perché il reato, inizialmente, era contestato come finalizzato al compimento di altri più gravi, come la truffa, per i quali è stato assolto e per i quali veniva tirata in ballo la qualità di sindaco del Comune di Riace. La telefonata dalla Prefettura – la stessa che lo aveva inguaiato con una relazione terribile, poi smentita da quella successiva – però, c’è stata. Il che fa pensare che ci sarà anche una valutazione, che se negativa farà ripiombare il Comune in un nuovo tritacarne. E Lucano in una nuova guerra giudiziaria. «Dopo aver trascorso 7 anni in balia di un teorema studiato a tavolino sono esasperato – commenta Lucano –. Non ho intascato nemmeno un euro, e questo la sentenza lo dice chiaramente, perché devono accanirsi? Voglio che l’opinione pubblica sappia: sono stato condannato per aver contrastato i memorandum con la Libia e le sue prigioni disumane. Questo è il significato della mia condanna. Che ora la destra usa per attaccarmi, indipendentemente dal merito. Volevano solo poter dire: “avete visto che era colpevole?”. Non accettano il dissenso, sostengono chi commette violenze sui più deboli, mentre noi dobbiamo stare zitti. Ma come si fa a stare tranquilli di fronte a queste ingiustizie? Sono esausto, vogliono di nuovo farmi fuori – conclude –. Il mio “crimine” è solo questo: essermi opposto alle politiche disumane. Ma possono farmi passare tutta la vita così?».