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Dovevano essere l’arma perfetta del Movimento 5 Stelle per soddisfare il maggior numero possibile di elettori giocando sempre di sponda: il riformista e il rivoluzionario che marciano insieme zigzagando tra le contraddizioni dei loro ruoli e del loro partito. E così è stato per tutti gli anni dell’opposizione a Letta, Renzi e Gentiloni.
Ma da quando l’utopia livellatrice strillata da Beppe Grillo nei primi comizi si è trasformata in potere strutturato, il rapporto tra Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista è andato via via sfilacciandosi. Fino ad arrivare alla frattura pubblica dei giorni scorsi. Quella in cui il capo politico è costretto a intervenire con fermezza per stoppare pericolosi deviazionismi, soprattutto se provenienti da fonti parecchio sentita tra la base pentastellata.
E così il vice premier, è costretto a ricordare al vecchio compare di mille imprese politiche chi comanda nel Movimento. «Ognuno porti avanti il ruolo che è chiamato ad assolvere nella società: ministro, parlamentare, attivista, cittadino. Un ruolo non è migliore dell’altro, per quanto mi riguarda. Ma tutti devono essere rispettati e ognuno stia al proprio posto», scrive su Facebook Di Maio, stroncando il ritorno di “Dibba”, riapparso improvvisamente sul terreno di gioco con un intervento a gamba tesa nei confronti dei compagni di squadra, i ministri grillini trasformati in «burocrati» nel giro di un anno. O almeno così li ha definiti lo scapigliato ex parlamentare grillino sul suo libro Politicamente scorretto: un’accusa infamante per un partito arrivato per la prima volta in Parlamento nel 2013 con l’obiettivo di aprirlo come una scatoletta di tonno.
Il tutto condito da continui attacchi nei confronti dell’alleato, Matteo Salvini, in grado di soggiogare il M5S ben prima del trionfo alle Europee. Inevitabilmente, a finire sul banco degli imputati è Luigi Di Maio, uomo di governo e leader responsabile della svolta leghista del Movimento dell’onestà.
«Non mi interessa se in buona fede o in mala fede, ma se qualcuno in questa fase destabilizza il MoVimento con dichiarazioni, eventi, libri, destabilizza anche la capacità del Movimento di orientare le scelte di governo», tuona su Facebook il capo politico, rivendicando implicitamente lo sfogo, contenuto in audio sfuggito al controllo dei vertici e diffuso da Fanpage, in cui il vice premier dice di essere «incazzato» con l’ex amico.
Perché un conto sono le bordate di Roberto Fico l’ortodosso, custode dell’uno vale uno degli albori, e un conto è l’opposizione di Dibba con cui Di Maio ha sempre condiviso visione e strategie. Sì, perché Alessandro e Luigi sono la faccia della stessa medaglia coniata alla zecca della Casaleggio Associati dagli esperti di comunicazione al servizio di Gianroberto. E mai quello che è stato definito il “Che” del Movimento ha contestato una delle innumerevoli scelte discutibili o contraddittorie assunte d’imperio da Grillo, Casaleggio o dall’anonimo Staff.
Non una parola davanti alle epurazioni di attivisti e colleghi eretici, non un sibilo di fronte alle posizioni dei due fondatori in tema di immigrazione del tutto simili a quelle di Salvini, non una smorfia di disappunto nel giorno in cui il M5S si trasformava in partito concentrando quasi tutto il potere nelle mani dell’ex vice presidente della Camera.
A meno di improvvise conversioni sud americane, insomma, Di Battista non è affatto un guevarista, è un solo Di Maio che gira in scooter senza però mettere in discussione le dinamiche del potere interne al mondo pentastellato. E non lo fa neanche in questo caso, coperto nella sua azione disturbatrice dal figlio del fondatore: Davide Casaleggio, l’ideatore, forse, della “legislatura sabbatica” del leader romano, volta a tutelare uno dei due volti più carismatici del partito da un inevitabile logoramento d’immagine causato da Palazzo Chigi.
Il ministro del Lavoro ha capito il gioco messo in atto dai due e nella sua invettiva social riserva qualche messaggio in codice anche al presidente dell’Associazione Rousseau. Nel passaggio in cui elenca i mezzi utilizzati dai nemici interni per destabilizzazione il Movimento, oltre alle dichiarazioni e ai libri, figurano anche «gli eventi». Come il Rousseau City Lab, in corso a Catania mentre Di Maio scrive, dal cui palco pontifica proprio Alessandro Di Battista, intervistato dall’organizzatore: Davide Casaleggio.
E mentre la senatrice “fichiana” Paola Nugnes decide di abbandonare il gruppo in netta contrapposizione alla linea del capo, il giovane politico di Pomigliano D’Arco guarda con risentimento non verso lei ma verso gli amici che provano a disarcionarlo, proprio ora che si è “sporcato le mani” per tutti, mentre gli altri partivano per terre lontane.
Ma invece di abbassare i toni, Dibba rilancia: «Ieri ho visto il ministro dell’Interno annunciare che intende convocare i sindacati: questo è un modo di destabilizzare il governo. Un ministro dell’Interno deve fare il ministro dell’Interno», ha detto in Tv, mettendo il dito nella piaga dell’espansionismo politico del Carroccio, entrato a tutti gli effetti nella sfera di competenza di Di Maio. Che a distanza fa sapere: «Stiamo governando la nazione Italia, non stiamo giocando a risiko. Si rimettano i carri armatini nella scatola». La ricreazione grillina è davvero finita.