Ricordate la Loggia Ungheria? L’associazione “paramassonica” con lo scopo di pilotare i processi e le nomine al Csm rivelata dall’ex avvocato esterno dell’Eni Piero Amara e di cui avrebbero fatto parte magistrati, professionisti, alti ufficiali dell’Arma dei carabinieri e della guardia di finanza, dirigenti dello Stato? L’indagine si era conclusa con un nulla di fatto in quanto la procura di Perugia, ufficio giudiziario ormai competente sulle inchieste giudiziarie più importanti degli ultimi tempi, aveva archiviato ritenendo «l’insussistenza di elementi idonei ad integrale l’associazione segreta prevista dalla legge Anselmi del 1982».

I «tentativi compiuti o incompiuti di interferire su nomine dei vertici di enti e istituzioni», si poteva leggere nel provvedimento, erano «risultati ascrivibili a interessi diretti di Amara, piuttosto che conseguenza del condizionamento di una “loggia”».

A seguito di tale pronuncia, a Milano era stato incardinato un procedimento nei confronti di Amara, ritenuto responsabile di calunnia a carico di una settantina di soggetti di cui aveva fatto il nome come appartenenti alla loggia. Il pm milanese Claudio Civardi, titolare del fascicolo, aveva quindi deciso di mandare a Brescia la posizione del giudice Claudio Galoppi che, dopo essere stato al Csm e per quattro anni a Palazzo Madama come consigliere della presidente del Senato Elisabetta Casellati, nel frattempo era tornato in servizio a Milano in Corte d’appello. I colleghi bresciani, ricevuto lo stralcio, avevano chiesto di archiviare Amara sul presupposto che aver indicato Galoppi tra gli appartenenti alla loggia senza però attribuirgli altro, di per sé non bastasse a integrare la calunnia.

Il gip bresciano Cesare Bonamartini, accogliendo l’opposizione di Galoppi questa estate, aveva però respinto l’archiviazione e ordinato l’imputazione coatta di Amara in quanto per la calunnia, reato di pericolo, non contava all’esito delle indagini la non riscontrata esistenza della loggia, ma lo sviamento dell’attività giudiziaria a opera dello stesso Amara.

La scorsa settimana, alla ripresa del dibattimento milanese, è arrivata pertanto prima l’eccezione del difensore di Amara, l’avvocato Salvino Mondello, e poi la decisione del collegio presieduto da Antonella Bertoja di mandare tutto a Brescia, dove il processo ripartirà da zero, con inevitabile prescrizione essendo il racconto dell’ex avvocato dell’Eni avvenuto a dicembre del 2019. Nel mirino è adesso finito l’ex giudice Guido Salvini, che volle tenere a Milano a processo. «La mia decisione al termine dell’udienza preliminare nel dicembre 2023 di mantenere il processo a Milano era del tutto corretta», ha commentato Salvini. «Non c’era nessuna connessione - ha aggiunto - con udienze in corso a Brescia per il semplice fatto che non ce n’erano: all’epoca, infatti, la procura di Brescia aveva chiesto l’archiviazione del fascicolo che vedeva come persona offesa il giudice Galoppi rientrato in servizio a Milano, il cui esposto era stato trasmesso appunto Brescia. Galoppi in seguito ha fatto però opposizione con successo contro l’archiviazione ottenendo dal gup il rinvio a giudizio come vittima di calunnia. Da ciò, con la promozione di una nuova azione penale, è nata la possibile connessione che ha comportato lo spostamento dell’intero procedimento anche quello “madre” a Brescia. Un evento processuale tuttavia sopravvenuto alla conclusione della mia udienza preliminare che in modo del tutto corretto aveva mantenuto il processo Milano», ha precisato infine Salvini.

Finisce dunque così una vicenda che per anni ha occupato le prime pagine dei giornali e che ha comportato la condanna penale di diversi magistrati. Primo fra tutti l’ex presidente dell’Anm Piercamillo Davigo che aveva avuto i verbali delle dichiarazioni di Amara dal pm Paolo Storari, il quale si era lamentato dell’inerzia dei propri capi nell’effettuare indagini sulla loggia, e ne aveva rivelato il contenuto pur essendo coperti dal segreto.