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Lo scontro salvini- Spadafora. Questa volta nella polemica politica sono finiti trascinati i centri antiviolenza.
Il copione è sempre lo stesso: due contendenti - l’onnipresente vicepremier Salvini e il suo avversario di turno, questa volta il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega alle pari opportunità, Vincenzo Spatafora -; una giornata densa di botta e risposta fatto di richieste di dimissioni; qualche incontro cancellato.
A finire nel tritacarne della politica, però, ieri sono state le donne. O meglio, le donne che subiscono violenza.
L’incontro cancellato, infatti, è quello che doveva istituire la Cabina di regia per l’attuazione del Piano sulla violenza contro le donne e la successiva conferenza stampa.
L'attacco di Spadafora
Tutto inizia con la rassegna stampa giornaliera, che fa andare per traverso il caffè al ministro Salvini: su Repubblica campeggia una durissima intervista del fedelissimo di Luigi di Maio, Vincenzo Spadafora, in cui il sottosegretario parla della «deriva sessista dell’Italia» e si chiede come fare a contrastare la violenza sulle donne «se gli insulti alle donne arrivano proprio dalla politica, anzi dai suoi esponenti più importanti»
Ogni riferimento è assolutamente voluto, visto che Spadafora continua con un esempio: «Gli attacchi verbali del vicepremier alla capitana Carola. L’ha definita criminale, pirata, sbruffoncella. parole, quelle di Salvini, che hanno aperto la scia dell’odio maschilista contro Carola».
In sostanza, l’ondata di odio e gli insulti offensivi che hanno invaso fisicamente il molo di Lampedusa quando Carola è scesa dalla Sea Watch e virtualmente il web, sono la conseguenza naturale delle parole di Salvini.
La risposta di Salvini
Sarebbe bastato anche meno, per mandare su tutte le furie il leader leghista.
L’effetto è automatico: «Cosa sta a fare il sottosegretario? Sta al governo con un pericoloso razzista e maschilista? Fossi in lui mi dimetterei», è la risposta sprezzante di Salvini, che travolge tutto, dalla violenza sulle donne alla questione immigrazione: «Se mi ritiene così brutto si dimetta e faccia altro nella vita. Ci sono delle ong che lo aspettano».
L’affondo del vicepremier chiama a raccolta i leghisti, che fanno scudo al capo e chiedono le scuse di Spadafora, oppure le sue dimissioni.
La ministra per gli Affari Regionali, Erika Stefani definisce «vile utilizzare il dramma della violenza che troppe donne hanno subito o subiscono per attaccare Salvini» e aggiunge che «andrebbe ripensato l’incarico di Spadafora», mentre il capogruppo della Lega alla Camera, Riccardo Molinari parla di «gravità inaudita» e aggiunge: «Si può anche dissentire dal pensiero di un membro del Governo di cui si fa parte, ma c’è modo e modo e a tutto, comunque, c’è sempre un limite. Delle due l’una: Spadafora si scusi subito o si dimetta».
Risultato: Spatafora rinvia con una nota l’istituzione della Cabina di regia sulla violenza contro le donne, giustificandosi con «motivi personali» e ignora completamente gli attacchi.
Nessuna dichiarazione per rettificare l’intervista che anzi campeggia sulla sua pagina Facebook -, anzi: l’unica risposta di Spadafora è riservata ai deputati del Pd, che mettono in dubbio il suo lavoro sui centri antiviolenza e il mancato stanziamento di risorse.
A difendere il sottosegretario, invece, intervengono insolitamente due pezzi da novanta del gotha pentastellato, per altro di fronte interno opposto.
Da una parte il vicepremier, Luigi Di Maio, che derubrica la questione a scontro «nella dialettica politica» e minimizza: «Quanto casino per un‘ intervista, ma è possibile che ora il problema di questo Paese debba diventare un’intervista?», per poi escludere categoricamente le dimissioni: «Spadafora non si dimette».
Sulla stessa lunghezza d’onda anche il presidente della Camera, Roberto Fico, che ribadisce come le dimissioni siano fuori discussione e che se Spadafora è intervenuto «così pubblicamente nell’ambito delle sue competenze» è «perchè probabilmente ha analizzato un dato che vuole combattere con la delega che ha».
E anzi, Fico ha sostanzialmente condiviso l’analisi del collega, aggiungendo che «Bisogna avere responsabilità del linguaggio che si usa».
Niente cabina di regia
Intanto, però, a saltare è la Cabina di regia, rinviata a data da destinarsi.
La polemica politica, ancora una volta, ha preso il posto del merito di un problema dai numeri impressionanti: 33mila donne che nel 2017 sono state accolte dalla rete dei 338 centri antiviolenza distribuiti sul territorio, che oggi denunciano la mancanza di fondi pubblici per proseguire il lavoro, con l’ 80% del personale volontario e case rifugio endemicamente sottodimensionate.
Una crisi drammatica e silenziosa, ancora una volta zittita proprio nel giorno in cui doveva tornare nel dibattito pubblico dalla polemica politica tra alleati recalcitranti e sempre più l’un contro l’altro armati.
Ieri doveva essere la giornata delle 33mila donne salvate e sui numeri delle tante ancora in attesa di aiuto.
E’ stata invece ancora una volta la giornata di Salvini, grazie alla schiacciata violenta del sottosegretario Spadafora, che ha scelto un attacco mirato al vicepremier con studiato calcolo, accettando come ragionevole il rischio di trascinare nella bolgia una questione che avrebbe meno bisogno di polemica e più proprio di quella Cabina di regia, posticipata con la noncuranza che si riserva agli strumenti che hanno già realizzato il loro scopo.