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La vicenda della diffusione dei verbali dell’ex avvocato esterno di Eni Piero Amara consegna «un'immagine preoccupante ed assai allarmante del Consiglio superiore della magistratura, che ancora una volta sembrerebbe avere operato - in questa o in altre vicende - non sulla base di conoscenze, rituali comunicazioni e/o atti formalmente acquisiti dall'Organo di autogoverno della magistratura, bensì nella logica - si consenta - della “congiura di Palazzo”». Sono parole durissime quelle con le quali il gup del Tribunale di Roma Nicolò Marino motiva il proscioglimento dell’ex segretaria di Piercamillo Davigo, Marcella Contrafatto (difesa dall’avvocato Alessia Angelini), dall’accusa di calunnia ai danni dell’ex procuratore di Milano Francesco Greco. Parole che aprono, inoltre, un nuovo filone di indagine, con la rimessione degli atti alla procura per valutare due ipotesi di reato: quella di omessa denuncia nei confronti del consigliere del Csm Giuseppe Cascini, e quelle di violazione della pubblica custodia di cose e di omessa denuncia nei confronti del consigliere Giuseppe Marra. Reati, quelli ipotizzati dal gup, commessi nella gestione di quei verbali, consegnati ai due consiglieri proprio da Davigo.
Nelle 42 pagine con le quali spiega l’assenza di elementi tali da consentire di rinviare a giudizio Contrafatto - investita, insieme alla sua famiglia, «da un clamore mediatico andato ben oltre la sopportazione» -, il gup bacchetta pesantemente buona parte dei membri del Csm e un loro ex membro, Davigo, «spintosi (...) ben oltre i confini dei poteri conferitigli come membro togato» del Csm.
La vicenda ruota intorno alla consegna dei verbali di Amara a Davigo da parte del pm milanese Paolo Storari, che si era rivolto a lui per denunciare il presunto immobilismo della procura meneghina nella gestione delle dichiarazioni dell’ex avvocato esterno di Eni, che aveva descritto l’esistenza di una presunta loggia (poi rivelatasi inesistente) della quale avrebbero fatto parte uomini delle istituzioni e anche due consiglieri del Csm: Sebastiano Ardita, diventato la vittima principale della diffusione dei verbali e totalmente estraneo ai fatti, e Marco Mancinetti, nel frattempo dimessosi da Palazzo dei Marescialli. Una forma di “autotutela”, quella di Storari, rivelatasi, però, totalmente fuori dalle regole e fondata sulla rassicurazione di Davigo al pm sull’impossibilità di opporre il segreto investigativo ai membri del Csm. Una verità che Davigo avrebbe ricavato dalle circolari del Csm, interpretate, però, in maniera errata, secondo la procura di Brescia che ha chiesto e ottenuto il suo rinvio a giudizio. Quei verbali, stando al racconto dei due protagonisti, sarebbero stati consegnati all’ex pm di Mani Pulite ad aprile del 2020. Ma secondo il gup Marino, l’ostilità di Davigo nei confronti di Ardita già a febbraio 2020, quando il primo disse al secondo "Tu mi nascondi qualcosa", «fa chiaramente presumere come il dottor Davigo fosse già a conoscenza del contenuto dei verbali di Amara».
Silenzi ed omissioni
Secondo il gup, «all’interno del Csm vi erano stati imbarazzanti silenzi ed inescusabili omissioni, che non possono trovare giustificazione alcuna per chi ha avuto in mano quei verbali, li ha letti e poi distrutti quando scoppierà il caso Contrafatto (ovvero il consigliere Marra, ndr) o per chi, dopo averli letti, si è finanche spinto a fornire al dottor Davigo valutazioni sulla credibilità di Amara (cioè Cascini, ndr), sicuramente al di fuori dei compiti e dei doveri istituzionali che l'alto incarico di componente del Csm ricopre impone». Gli unici a comportarsi in maniera corretta, secondo Marino, sarebbero stati Ardita e il consigliere Nino Di Matteo (destinatario di uno dei plichi con i verbali spediti, secondo la procura, da Contrafatto), che si sono rimessi all’autorità giudiziaria. «Traspare a chiare lettere come fosse in atto una vera e propria strategia di portare all'esterno il contenuto delle dichiarazioni di Amara», scrive il giudice, una diffusione «allarmante» di documenti, «sine titulo stampati dallo stesso dottor Davigo e consegnati ad alcuni consiglieri del Csm e/o portati comunque a conoscenza di svariate figure istituzionali, anche al di fuori dell'organo di autogoverno della magistratura, come nel caso del senatore Morra», documenti «coperti da segreto investigativo» e che «in quanto segretati costituivano corpo di reato».
Nelle indagini su Contrafatto, secondo il gup, sarebbe mancata l’analisi dei comportamenti che hanno preceduto la consegna dei verbali ai giornali e la presunta calunnia: non è stato infatti considerato che a rendere noto il contenuto dei verbali e il presunto lassismo del procuratore di Milano, per primo, fosse stato proprio Davigo, «impropriamente, se non illecitamente (ma questo lo stabilirà il Tribunale di Brescia)». Che il procuratore Greco tenesse i verbali nel cassetto, secondo quanto scritto sul biglietto anonimo consegnato a Di Matteo e che è costato a Contrafatto l’accusa di calunnia, era ormai «una diffusa presunzione per bocca dello stesso dottor Davigo, che ne aveva parlato con Ermini, Cascini, Marra, Pepe, Cavanna, Gigliotti, Morra».
Un danno ingiusto ad Ardita
Davigo, raccontando dei verbali al vicepresidente del Csm David Ermini, aveva sottolineato la circostanza che Ardita «potesse appartenere alla massoneria e come il massone dovesse essere considerato tale anche se assonnato». Affermazioni «gravissime», commenta Marino, unitamente alle esternazioni sul contenuto dei verbali di Amara, spacciato per vero «addirittura svolgendo accertamenti sulla credibilità del dichiarante tramite il consigliere Cascini, in palese violazione delle norme di legge che regolamentano le attribuzioni meramente amministrative e collegiali di componente del Csm, con la conseguenza (voluta o non voluta, non spetta a questo decidente valutarlo) di avere arrecato al predetto consigliere Ardita un danno ingiusto, consistito nell'isolamento di questi all'interno del Csm, per di più sconsigliando il senatore Morra dal portare avanti una proposta di collaborazione istituzionale dello stesso dottor Ardita con la Commissione parlamentare nazionale antimafia (secondo il racconto di Morra)». Una condotta, secondo il gup, che potrebbe integrare la fattispecie di abuso d’ufficio.
La gestione impropria di quei verbali ha consentito dunque di far circolare all’interno del Csm documenti «dal contenuto potenzialmente devastante per le Istituzioni», senza attendere o verificare che esistesse una formale comunicazione del procuratore di Milano al Csm essendovi coinvolti magistrati, senza consigliare a Storari di seguire la procedura formale; «senza scandalizzarsi (Cascini, ndr) e respingere la richiesta di consulenza fatta dal dottor Davigo circa la credibilità di Amara, come se fosse possibile accettare uno sdoppiamento di ruolo del dottor Cascini, quale componente di un organo collegiale di alta amministrazione e di magistrato della procura di Roma; senza sentire il dovere di interrompere la catena di divulgazione dei verbali di Amara» e, soprattutto, «senza denunciare alla competente autorità giudiziaria quegli accadimenti, come sarebbe stato logico pretendere da un pubblico ufficiale che avesse avuto la disponibilità di verbali costituenti corpo di reato e la piena consapevolezza». Sarebbe bastato infatti poco «per non creare, in maniera scomposta, l'ennesimo allarme istituzionale all’interno della magistratura: seguire le regole, ovvero declinare la consegna dei file word, invitare Storari a rivolgersi al suo procuratore generale e mantenere il riserbo. Ma il consigliere Davigo, nonostante la sua straordinaria esperienza, ha, purtroppo, imboccato la strada sbagliata, e con lui altri».
Non migliore, secondo il gup, il comportamento di Marra, che aveva anche avuto in consegna, proprio da Davigo, quei verbali «costituenti corpo di reato», poi distrutti una volta venuto a conoscenza della perquisizione a casa Contrafatto. «È veramente allarmante che un magistrato togato, componente del Csm - scrive il giudice -, prima di distruggere i verbali, si sia confrontato con il dottor Davigo, raggiungendolo a Milano, per verificare se gli stessi fossero stati portati sul suo tavolo direttamente da lui o tramite la Contrafatto; evidentemente aveva ben chiaro come la disponibilità di quei verbali apparisse, oltre che ingiustificata, anche imbarazzante».
Una «strategia destabilizzante»
Insomma, i verbali di Amara circolavano da febbraio 2020 e anche se segretati «pare non fossero un segreto per nessuno» e anzi venivano diffusi. Circostanza che al gup pare «una vera strategia destabilizzante, condotta in due tranche temporali, nel 2020 e nel 2021, da una o più mani, che porta ad escludere una possibile regia e un protagonismo di Marcella Contrafatto». L’unico indizio che lega l’ex segretaria di Davigo alla consegna dei verbali sono le quattro chiamate effettuate dal cellulare del Csm in uso alla stessa alla giornalista di Repubblica Liana Milella, tra i destinatari dei plichi anonimi, «indizio tuttavia indebolito dalle dichiarazioni della giornalista che fa riferimento, a proposito della sua interlocutrice anonima, ad una giovane donna con accento del nord, con voce non contraffatta». Mentre la perizia grafologica ha escluso tassativamente che a scrivere i biglietti anonimi possa essere stata la donna.
Insomma, gli elementi di prova sono risultati sin dall’inizio «del tutto insufficienti, e comunque contraddittori». E non sono poche le critiche del gup alla procura, rea di non aver acquisito gli atti del processo a carico di Davigo e di non aver indagato anche sull’altra segretaria di Davigo, Giulia Befera, sentita invece «quale fonte di accusa testimoniale», ma considerata dal gup «"fuori le righe", per usare la medesima terminologia del dottor Davigo e della Befera» a proposito di Contrafatto. A ciò si associa l’esclusione dell’elemento soggettivo del reato di calunnia: Contrafatto, infatti, «disponeva di elementi concreti tali da poter legittimamente essere convinta delle responsabilità del procuratore di Milano e ciò in ragione della fonte da cui la notizia proveniva - il dottor Davigo, nei cui confronti nutriva incondizionata stima professionale e fiducia - e per la diffusione della stessa all'interno dell'Organo di autogoverno della magistratura che, ancor di più, avvalorava la serietà delle informazioni comunicate dal presidente Davigo».