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«I potenti? Non hanno mai difeso i diritti umani. E neppure gli Stati ci pensano davvero. Non ci sarebbe molto da aspettarsi, nel progredire di una visione globale sui grandi principi: eppure, va riconosciuto che la stessa mia associazione impegnata nel promuovere il diritto al cibo è riconosciuta dal governo, dalla Stato in generale e dalla Regione in cui è nata, la Lombardia...». Livia Pomodoro esibisce la solita grinta di magistrata controcorrente anche ora che non presiede il Tribunale di Milano ma lo scrigno che custodisce l’eredità più importante di Expo, il Milan center for Food law and policy. Un’associazione in prima linea nel diffondere i valori che dopo la grande esposizione del 2015 restano anche codificati in un documento solenne, la Carta di Milano. Intervenuta ieri a Roma in una conferenza organizzata presso Acea sull’uso bilanciato delle risorse idriche, da lunedì scorso Livia Pomodoro è anche titolare della prima cattedra Unesco di Diritto al cibo, assegnata a Milano e alla sua università Statale. «L’impegno per i diritti è un difetto di gioventù». La sua battaglia è resa più difficile dalla timidezza delle istituzioni? Le devo rispondere con il più semplice degli esempi: nel 2015, nell’ambito di Expo, è stata presentata la Carta di Milano. In una prima stesura del documento, promosso anche dal governo italiano, l’espressione ‘ diritto al cibo’ neppure compariva. Come componente del network internazionale impegnato sulla questione, ho fatto in modo quel richiamo fosse nell’incipit. E, attenzione, che vi fosse riportato secondo la formula ‘ diritto al cibo adeguato’ indicata all’Ecosoc, il Consiglio delle Nazioni unite per le attività economiche e sociali. Nel discorso fatto alla conclusione di Expo, il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha ricordato il riferimento al diritto al cibo contenuto nella Carta di Milano. Mi pare che tutto questo offra due risposte alla sua domanda. Quali? Non tutte le istituzioni, evidentemente, sono insensibili alla tutela dei diritti fondamentali. Inoltre, l’obiettivo di associazioni come quella che presiedo è di sollecitare la coscienza dei potenti come di ogni singolo cittadino. Si mira ad assumere non una delega da parte dei soggetti decisori, dal momento che io non posso prendere decisioni, ma di svolgere un’ampia moral suasion affinché anche i decisori, e i potenti, si avvicinino a determinate posizioni. Il cibo dev’essere adeguato nel senso dell’equa distribuzione? Nel senso che in ogni parte del mondo deve esserci una disponibilità di cibo non solo bilanciato dal punto di vista nutrizionale ma anche compatibile con la salvaguardia di un livello dignitoso della qualità della vita. Lei, per formazione, resta un magistrato. Sui diritti di base, è impegnata la stessa avvocatura: il presidente del Cnf Andrea Mascherin è intervenuto alla sessione del G7 dedicata al diritto all’acqua e prosegue nell’affermare la vigilanza della professione forense in questo campo. L’iniziativa dei protagonisti della giurisdizione è la soluzione per compensare qualche esitazione dei governi? Non mi sento di poter parlare ancora di un impegno da parte del mondo della giurisdizione. Né io posso rappresentare la magistratura. La mia passione per la difesa dei diritti umani nasce prima della laurea, passa per la borsa di studio ottenuta a Ginevra dopo la tesi in Diritto internazionale privato e segna, certo, la mia attività di magistrato, ma in virtù di un orientamento personale. Posso dire di essere in prima linea come giurista e che tanti giuristi lo sono come me. E c’è l’importante attenzione dell’avvocatura. Che i diritti siano difesi anche a livello globale da chi li tutela ogni giorno, non è così strano. È vero. In occasione della sessione G7 dedicata al diritto all’acqua, ho ricevuto e apprezzato la relazione del presidente Mascherin: ben vengano le prese di posizione dell’avvocatura e ben venga l’allargarsi del dibattito, è importante che dei diritti umani si cominci a parlare più spesso. L’obiettivo che credo sia da cogliere, e che mi sono posta nell’attività condotta anche insieme con l’Onu, è arrivare alla firma di una convenzione che introduca regole minime per l’effettiva tutela dei diritti umani, oggi riconosciuti ma non sempre materialmente preservati. Milano è la capitale economica del Paese: l’impegno di associazioni come la sua e la stessa assegnazione della cattedra Unesco dimostrano che la città ha una vocazione solidale altrettanto radicata? Milano è la patria di Cesare Beccaria. Quando mi è stata attribuita la cattedra Unesco sul Diritto al cibo, un amico mi ha fatto gli auguri con una copia datata fine 800 di Dei diritti e delle pene. È innegabile che Milano sia stata molto propositiva è che l’evento di Expo sia stata l’occasione per rafforzare quella vocazione solidale. Siamo uno stabile presidio per il diritto al cibo, che Stefano Rodotà, in uno dei suoi ultimi scritti, indicò come il più fondamentale dei diritti. Gli strumenti con cui io e la mia città possiamo diffondere una nuova consapevolezza assumono le sole forme della cultura. Ma non è detto che siano gli strumenti meno efficaci.