PHOTO
Far rientrare negli illeciti disciplinari relativi all’esercizio delle funzioni di magistrato la «consapevole inosservanza del dovere di astensione nei casi in cui è espressamente previsto dalla legge l’obbligo di astenersi o quando sussistono gravi ragioni di convenienza». Lo si legge in una bozza del decreto legge all’ordine del giorno del prossimo Consiglio dei ministri, in programma lunedì. La modifica va a toccare l’articolo 2 comma 1 lettera c) del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, la parte della riforma Castelli relativa appunto al disciplinare delle toghe.
Secondo la relazione che accompagna il testo, l’introduzione del nuovo presupposto delle «gravi ragioni di convenienza» ha origine dalla «straordinaria necessità e urgenza di modificare la disciplina degli illeciti disciplinari dei magistrati in ragione dell’intervenuta abrogazione del reato di abuso d’ufficio, allo scopo di parificare espressamente, a fini di rilevanza disciplinare, i casi di obbligo di astensione tipizzati dalla legge a quelli in cui l’astensione è soggettivamente rimessa alla sussistenza delle gravi ragioni di convenienza».
Adesso, con le «ragioni di convenienza» le maglie per ipotizzare un illecito disciplinare si allargheranno di molto. E a sindacare le “gravi ragioni” sarà ovviamente anche il ministro della Giustizia, a cui spetta, insieme col pg di Cassazione, l’azione disciplinare nei confronti dei magistrati. E dopo che il Sole-24 Ore ha anticipato, due giorni fa, la modifica in arrivo dal governo, proprio dalla magistratura hanno cominciato ad affiorare forti preoccupazioni: secondo queste letture, si tratterebbe dell’ennesimo atto conflittuale dell’Esecutivo nei confronti dell’ordine giudiziario. Ancora, dall’associazionismo giudiziario arrivano timori che con la nuova previsione possano finire sotto la lente severa del disciplinare tutti quei magistrati autori di dichiarazioni pubbliche sulle scelte della politica.
Se fosse stata già in vigore la norma, è la riflessione che viene fatta, sarebbero potute essere mandate a processo disciplinare Iolanda Apostolico e Silvia Albano. La prima aveva disapplicato il Dl Cutro ma era finita nel mirino di Matteo Salvini per la propria partecipazione a una manifestazione per il caso Diciotti. La seconda, che ha sottoscritto alcune ordinanze di non convalida di trattenimenti, non ha mai celato le proprie idee in tema di migrazioni.
In particolare, secondo Giovanni Zaccaro, segretario di AreaDg, si tratta di «una norma pericolosa: si vogliono ridurre i magistrati a burocrati silenziosi con la conseguenza di impoverire il dibattito culturale e giuridico del Paese, che rimarrebbe privo del contributo dei magistrati che sperimentano sul campo i problemi della giurisdizione». Critico anche Stefano Musolino, segretario di Magistratura democratica: «La norma presenta una preoccupante evanescenza dei contenuti che appare più che altro un monito, volto a consigliare al magistrato il silenzio anche sulla materia dei diritti e del giudiziario. Se si trattasse della applicazione delle regole vigenti, sarebbe, infatti, una norma inutile e ridondante, mentre la sua espressa previsione è, chiaramente, funzionale a restringere il perimetro degli spazi comunicativi del magistrato. Vi è in atto il tentativo di conformare il comportamento dei magistrati, per riportarlo a quello del funzionario burocrate, tanto imparziale ed asettico nelle sue apparenze, quanto proclive a orientare le sue scelte a tutela dei poteri dominanti. Il magistrato, di fatto, pre-costituzionale, sbeffeggiato da De Andrè che non vogliamo tornare ad essere».
Critiche anche da Magistratura indipendente, con le parole di Giuseppe Tango, presidente dell’Anm di Palermo: «Si tratta di una disposizione pericolosa, illogica e preoccupante, anche per la sua potenziale estensione, che peraltro non potrà essere apprezzata a priori dal magistrato con certezza. Con un duplice rischio: alcuni magistrati potrebbero essere spinti a non fornire più un contributo di carattere tecnico nel dibattito giuridico, che tanto aiuta anche gli altri protagonisti della giurisdizione, in primis gli avvocati, altri saranno indotti ad astenersi, provocando un ulteriore ritardo nella definizione dei procedimenti, dannoso per il cittadino e in ultima analisi per il nostro Paese, che non può permettersi di non centrare gli obiettivi del Pnrr».
Infine, per il togato indipendente del Csm Roberto Fontana, «la fattispecie disciplinare formulata in termini generici di “sussistenza di gravi ragioni di convenienza”, senza le delimitazioni oggettive e soggettive derivanti dalla sussunzione della condotta di omessa astensione nella fattispecie penale dell’abuso d’ufficio, contrasta col principio di necessaria tipicità dell’illecito disciplinare. Così formulata la norma si presta a un’estensione dell’esercizio dell’azione disciplinare in particolare ai casi di partecipazione dei magistrati al dibattito pubblico, rispetto ai quali sono emerse radicali diversità di opinioni tra esponenti del potere esecutivo e la magistratura». E per la togata di Md Mimma Miele, «si parla di “dovere di astensione” in correlazione a una fattispecie del tutto indeterminata di “gravi ragioni di convenienza” che impone valutazioni caso per caso. Il principio di tassatività non mi appare rispettato. Una formulazione di tal genere rischia di dare ingresso alle interpretazioni più diverse, con il potenziale pericolo che le stesse possano essere condizionate e influenzate anche da fattori extragiuridici, che dovrebbero sempre rimanere estranei alla giurisdizione, ivi compresa quella disciplinare» .