La Commissione europea ha deferito l’Italia alla Corte di Giustizia Ue (CGUE) con sede in Lussemburgo. Roma non avrebbe posto in essere le necessarie azioni per contrastare l’abuso d’utilizzo dei contratti a tempo determinato per gli insegnanti, e le conseguenti condizioni discriminatorie di lavoro, mancando così d’adeguarsi alle prescrizioni derivanti dalla direttiva 1999/70/Ce del Consiglio.

Il deferimento è arrivato a seguito di due lettere di costituzione in mora inviate all’Italia rispettivamente a luglio 2019 e dicembre 2020, e di un parere motivato emesso nell’aprile del 2023.
Le norme italiane relative alla definizione delle retribuzioni dei docenti a tempo determinato sono state ritenute inadeguate e in contrasto con il diritto dell’Unione, non prevedendo una progressione retributiva in base ai precedenti periodi di servizio, prevista invece per i docenti assunti a tempo indeterminato. Questa differenza, secondo la Commissione, determinerebbe una discriminazione degli assunti a tempo determinato rispetto ai loro colleghi “di ruolo”.

La Commissione ha inoltre rilevato che non sono state poste in essere sufficienti azioni mirate ad eliminare l’abuso d’utilizzo di successivi contratti a tempo determinato per l’assunzione di personale amministrativo, tecnico e ausiliario negli istituti scolastici statali.
Secondo i sindacati di settore le persone assunte in modo precario sarebbero 250mila, mentre per il ministro dell’Istruzione Giuseppe Valditara non si andrebbe oltre i 160mila. Numeri importanti in entrambi i casi, soprattutto se si pensa che la Corte di Cassazione, con la sentenza 22552 del 7 novembre 2016, ha stabilito per i precari il diritto a un risarcimento, basato sugli anni passati in condizioni di precariato, che va dalle 2 alle 12 mensilità. Il governo, intervenuto sulla questione con il decreto salva-infrazioni dello scorso 4 settembre, ha stabilito l’aumento di detti risarcimenti, che vanno ora dalle 4 alle 24 mensilità.
Le risposte fornite dall’Italia a riguardo, così come le misure adottate per contenere il fenomeno, sono state ritenute insufficienti dalla Commissione, che per questo ha deciso di deferire l’Italia alla Corte di Giustizia di Lussemburgo.
Oltre al deferimento relativo al personale della scuola, nella stessa giornata la Commissione ha emesso un altro parere motivato. In questo secondo caso il tema è il mancato allineamento della normativa italiana in materia di diritto del lavoro dei giudici onorari. Il parere fa seguito alla procedura d’infrazione avviata nel luglio del 2021 con una lettera di costituzione in mora dell’Italia, alla quale sono seguite un’altra lettera di costituzione in mora inviata a luglio 2022 e un parere motivato emanato nel luglio del 2023. La procedura ha come oggetto lo status giuridico dei giudici onorari in servizio al 15 agosto 2017, considerati come volontari dalla legge nazionale. Non godendo dello status di lavoratore, sono destinatari di un trattamento discriminatorio rispetto ai magistrati di carriera.

Questa differenza di trattamento fa sì che ai magistrati onorari vengano riconosciute condizioni sfavorevoli rispetto a quelle stabilite per i loro colleghi in tema di indennità per malattia, infortunio o gravidanza, trattamento fiscale e retribuzione. L’Italia ha ora due mesi per rispondere al parere di Bruxelles e adottare le necessarie azioni correttive per evitare un ulteriore deferimento alla Corte di Giustizia Ue.