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L'ira di Conte. Matteo Salvini dice di avere la «coscienza pulita». L’irritazione ostentata di Giuseppe Conte e Luigi Di Maio per la convocazione al Viminale delle parti sociali non turba la serenità del leader leghista.
Che però concede qualcosa ai suoi “nemici- alleati”: «È chiaro che i tempi della manovra li detta il presidente del consiglio, verso il quale abbiamo piena fiducia, ma prima si fa e meglio è», precisa Salvini. «Mi interessa solo portare contributi, noi vogliamo solo aiutare il lavoro di alcuni ministri», prova a stemperare.
Lo scontro. I toni concilianti, però, arrivano troppo tardi, quando lo scontro istituzionale si è già compiuto e quando il presidente del Consiglio ha assestato una nuova “coltellata” nei confronti del ministro dell’Interno.
«Se oggi qualcuno pensa che non solo si raccolgono istanze da parte delle parti sociali ma anticipa dei dettagli di quella che ritiene debba essere la manovra economica, questo non è corretto affatto e si entra sul terreno di scorrettezze istituzionale», dice il capo del governo, mentre al Viminale è ancora in corso l’incontro con i sindacati voluto da Salvini.
«La manovra economica viene fatta qui dal presidente del Consiglio con il ministro dell'Economia, con tutti gli altri ministri interessati», sbotta Conte, rivendicando il suo ruolo con una determinazione quasi inedita.
«Non si fa altrove, non si fa oggi e i tempi, ci tengo a precisarlo, li decide il presidente del Consiglio, sentiti gli altri ministri, in primis il ministro dell'Economia. I tempi non li decidono altri».
L'insofferenza del presidente del Consiglio. Giuseppe Conte è un fiume in piena che nemmeno la presenza costante di Rocco Casalino, il responsabile della comunicazione di Palazzo Chigi molto vicino a Davide Casaleggio, riesce a placare.
Il premier è stanco di farsi scavalcare dai vice e ha un solo obiettivo in mente: delegittimare le fughe in avanti del capo del Carroccio.
E l’incontro con le parti sociali convocato da un ministro dell’Interno per discutere di argomenti economici non può passare liscio.
Conte mette in discussione ogni aspetto della riunione al Viminale: dai contenuti, come la flat tax - su cui la Lega non ha nemmeno fornito «i nomi dei delegati» ai tavoli sulla manovra - ai partecipanti.
Sì, perché a illustrare la riforma fiscale ai sindacati è Armando Siri, l’ex sottosegretario leghista alle Infrastrutture indagato per corruzione e costretto alle dimissioni.
«Se siamo nella logica di un incontro di partito, ci sta bene la presenza di Siri, se siamo nella logica di un incontro governativo, allora la presenza di Siri non ci sta bene», puntualizza l’avvocato del popolo, sminuendo, nei fatti, la portata della riunione.
M5S sotto accusa. Ma Conte non si concentra solo sulle continue invasioni di campo del vicepremier leghista, una piccola stoccata la riserva anche all’altro socio di governo: Luigi Di Maio.
«Che un leader di una forza politica voglia incontrare le parti sociali, la ritengo una cosa buona e giusta.
Anche il ministro e vicepresidente Di Maio potrebbe fare altrettanto per M5S». Tradotto: d’ora in poi nessuno parli più a nome del governo senza essersi confrontato col presidente del Consiglio.
Il capo politico grillino, dal canto suo, aveva già espresso tutto il risentimento nei confronti di Salvini, puntando però il dito contro il padrone di casa ma contro gli “ospiti”.
«Se i sindacati vogliono trattare con un indagato per corruzione e dire no al salario minimo, lo prediamo come un dato», scrive su Facebook il ministro dello Sviluppo economico 5S.
«Noi lavoriamo per aumentare gli stipendi agli italiani». Qualcuno avvisi il vicepremier che governano il “cambiamento” insieme al partito che ha portato Siri al tavolo.