La commissione Antimafia del Comune di Milano sottovalutò ciò che stava accadendo all’interno delle curve di San Siro. È uno dei tanti aspetti che emergono dagli atti dell’inchiesta sulle infiltrazioni criminali fra gli ultrà delle due squadre del capoluogo lombardo, che ha portato questa settimana in carcere 19 persone. Il punto è che a indurre in errore l’organismo dell’Assemblea cittadina, presieduto del dem Rosario Pantaleo, sarebbero stati, secondo i pm Paolo Storari e Sara Ombra, titolari del fascicolo, due dirigenti dell’Inter. La Procura fa riferimento alle audizioni di questi ultimi, avvenute il 15 marzo scorso a Palazzo Marino, proprio sul fenomeno della violenza calcistica, e ritenuto sotto controllo dai rappresentanti del club nerazzurro.

Le dichiarazioni dei due dirigenti, per i pm, attesterebbero invece “ancora una volta la totale sottovalutazione del fenomeno qui investigato e il completo scollamento dalla realtà dello stadio, non senza considerare alcune omissioni in mala fede”. Nel mirino dei magistrati ci sarebbe poi anche una memoria dell’ufficio legale dell’Inter, del successivo 30 aprile, nella quale veniva confermato ciò che era stato dichiarato dai due dirigenti. Da questa memoria, però, era emerso un altro particolare d’interesse. Il presidente della commissione comunale Antimafia, con una mail del 28 marzo, aveva riferito che l’Inter stava ponendo in essere delle azioni positive a tal riguardo.

Una circostanza smentita dai “fatti” e che “comprova ancora una volta una totale sottovalutazione del fenomeno” anche da parte del Comune. Peraltro, fanno notare i pm, l’Inter avrebbe assunto una “duplicità di atteggiamento: uno rivolto all’interno, dove le regole organizzative vengono pretermesse, e l’altro rivolto all’esterno, dove le medesime regole sono oggetto di formale ossequio”. Anche sulla base di tale risultanze, la Procura ha dunque aperto un procedimento di prevenzione nei confronti di Milan e Inter, allo stato non indagate.

All’interno dell’Inter, scrivono sempre i pm, si sarebbe poi creato un “disaccoppiamento” in forza del quale, “in parallelo alla struttura formale dell’organizzazione volta a rispettare le regole istituzionali”, si è sviluppata “un’altra struttura, ’informale’, volta a seguire le regole dell’efficienza e del risultato”. In questo modo, “la costante e sistematica violazione delle regole genera la ’ normalizzazione della devianza’, in un contesto dove le irregolarità e le pratiche illecite vengono accettate ed in qualche modo promosse, in quanto considerate normali”.

Emblematica in tal senso sarebbe allora la gestione dei biglietti, il cui ricavato andava, secondo l’ipotesi dell’accusa, a favore di autori di gravi reati, e il controllo degli ingressi allo stadio, gravemente carente e fonte di ulteriori guadagni da parte dei predetti. A questa situazione di illegalità diffusa, per i pm, è dunque necessario porre termine al più presto, anche perché “pare francamente impensabile che una struttura imprenditoriale con un fatturato di centinaia di milioni di euro possa avere rapporti di carattere economico con gli indagati e in particolare con un esponente di ’ndrangheta”. Parole pesanti come pietre a cui le società dovranno trovare risposte quanto prima per evitare l’ignominia dell’ammistrazione giudiziaria.