Autonomia differenziata, premierato, separazione delle carriere. Tre riforme che dovrebbero caratterizzare l’attuale legislatura. La prima approvata con legge ordinaria, in attuazione della riforma costituzionale del 2011 di riforma del Titolo V. Le altre di rango costituzionale, dovendosi modificare alcuni articoli della Costituzione.

Tre percorsi necessariamente diversi per tempi e modalità di approvazione e di attuazione. La riforma della cosiddetta autonomia differenziata è legge. Entrerà in vigore a breve, prevede tempi di attuazione di alcuni anni (nella migliore delle ipotesi). Ma non è di questo che intendo occuparmi in questa sede. E nemmeno del “merito” delle altre due riforme, quelle di rango costituzionale. Voglio invece soffermarmi su un altro aspetto, paradossalmente più urgente, in quanto prevede tempi più ravvicinati rispetto alla eventuale entrata in vigore delle tre riforme. Parlo dei referendum. Quello abrogativo (ex art: 75 Cost.) relativo alla riforma dell’autonomia e quelli confermativi (ex art. 138 Cost.) riguardanti le riforme costituzionali.

Pressoché tutte le opposizioni hanno depositato in Cassazione il quesito su cui richiedere le 500.000 firme di cittadini italiani per far celebrare il referendum sull’autonomia entro la primavera del 2025. Dal 1997 ad oggi si sono svolti 8 referendum abrogativi di cui solo uno nell’ormai lontano 2011 raggiunse il quorum. Cosa fa pensare agli odierni proponenti, in una Italia dove la curva dei partecipanti al voto è in costante discesa, che tra pochi mesi (primavera 2025) su un tema che non scalda i cuori possa raggiungersi il quorum per rendere valido il Referendum (metà più uno degli aventi diritto al voto) è un mistero che ben può collocarsi tra i misteri gaudiosi, gloriosi o dolorosi. Con una conseguenza ovvia, diretta e immediata, rafforzare il governo e la maggioranza al mancato raggiungimento del quorum.

Non aggiungo una riga sul merito della riforma dell’autonomia differenziata perché non è questa la sede in cui intendo affrontare la questione.

All’opposto si pone il ragionamento per i due eventuali referendum costituzionali su premierato e separazione delle carriere. La presidente del Consiglio sembra, al di là delle voci di corridoio che non ci riguardano e non aiuterebbero questa analisi, determinata a completare entro il prossimo anno l’iter complesso di approvazione della riforma sul premierato, quella che lei chiama “la madre di tutte le riforme”. Anche in questo caso, mettendo per un momento da parte il merito della delicata questione, mi chiedo cosa spinga l’on. Meloni a voler imitare il fatidico tacchino che intende anticipare il Natale.

Se il quorum per il Referendum abrogativo, per usare un eufemismo, sarebbe fortemente in forse, per un referendum costituzionale, come è noto, non c’è bisogno di alcun quorum. Dunque l’esito sarà valido qualunque sia il numero dei votanti. L’assist questa volta lo fa il governo all’opposizione, mai come in questo caso più unita e motivata a “licenziare” la Meloni, magari con la tacita ma fattiva collaborazione di un pezzo di maggioranza. La probabilità che tale referendum passi e dunque la riforma sul premierato divenga legge e di quelle per cui i bookmaker non accetterebbero la quotazione, avvicinandosi allo zero.

Cosa muove la leader di FdI dunque è incomprensibile. Ma andiamo alla terza grande riforma in cantiere. Quella sulla separazione delle carriere tra giudici e pm. Questa volta evito per ragioni di buon gusto di affermare che non entro nel merito. È la battaglia di una vita, della mia vita. Ma anche in questo caso voglio parlare di questioni tattiche più che di fondo. Bene, il referendum costituzionale (dunque senza quorum) per la separazione delle carriere, vedrebbe la maggioranza compatta e un pezzo significativo di opposizione pronta a sostenerla, ma soprattutto secondo qualunque sondaggio ci sarebbe un’ampia maggioranza degli italiani ampiamente favorevole. Guarda caso però, con i tempi a disposizione da qui alla fine della legislatura e con gli “ingorghi referendari” di cui ho cercato di chiarire la portata ( manca all’appello il referendum della Cgil sul Jobs Act), non ci sarebbe il tempo per concludere l’iter di approvazione della riforma e celebrare il relativo Referendum.

Ora la domanda che sorge spontanea, e che forse ci occuperà nei prossimi mesi, è: ma perché mai la maggioranza non accelera sulla separazione delle carriere e porta a casa una riforma epocale che tanti consensi gli riserverebbe nelle urne, posticipando quella sul premierato? La domanda rientra anch’essa nella categoria dei misteri del Santo Rosario sopra citati.