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Matteo Renzi, leader di Italia viva
Neanche Silvio Berlusconi si era mai spinto fino a parlare di “Pd modello Scarpinato” sulla giustizia, precisando poi che la frase non era un affettuoso complimento. Ci è riuscito Matteo Renzi, che di Pd si intende più del fondatore di Forza Italia. Ormai esperto anche di questioni di giustizia, il leader di Italia Viva ha trovato un facile megafono al Senato che ha già approvato l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio e un piccolo pacchetto di riforme volute dal ministro Carlo Nordio.
Non si è mai fatto intimorire dalle toghe, Matteo Renzi, questo gli dovrebbe venir riconosciuto anche da chi non lo ama per la sua strafottenza di piccolo genio della politica, cresciuto in fretta nella scuola più solida, quella democristiana. Ma come dimenticare quel “Brr che paura”, quando i magistrati minacciavano sfracelli per la riduzione delle ferie proposta per l’appunto dal governo Renzi? E ancora oggi, a qualche anno di distanza e a ruoli ridotti e tutti e due all’opposizione di un governo di centrodestra, si fronteggiano ad armi pari in Senato l’ ex procuratore di grande prestigio Roberto Scarpinato e l’ex segretario del Pd ora leader di un piccolo partito.
Renzi non teme il nuovo collega, e questo è straordinario, perché tutti hanno paura dei pubblici ministeri, prima di tutto perché hanno il potere di manette, e non è poco. Ma anche perché, da trent’anni a questa parte, davanti a loro si va con il cappello in mano, perché sono quelli che detengono il vero potere politico in Italia. Ed è proprio nel nome di questo potere politico che anche quelli che magistrati non sono più, ma, come amano dire, la toga l’hanno sempre sulle spalle, sono temuti. Roberto Scarpinato è uno di quelli. Ed è stato interessante, in tutti questi anni, osservare le sue movenze, la sua carriera di sognatore che amava, più che il ruolo di repressore di reati che già si erano verificati, quello di ricercatore, di lettore degli eventi in chiave storico-sociologica, sperando che, scava scava, in quegli ambienti che lui tuttora chiama dei “colletti bianchi”, qualcosa si troverà. A partire da quel reato di abuso d’ufficio visto come spia per arrivare a smascherare i grandi complotti come quelli che comportavano trattative tra mafia e istituzioni.
Quando Matteo Renzi irride i suoi ex compagni (o amici) del Pd accusandoli di aver adottato il metodo Scarpinato, sa di che cosa parla. Perché l’ex procuratore generale di Palermo ha sempre un po’ confuso l’amministrazione della giustizia con i propri sogni. E chi li segue, o li imita o vi si associa fa un percorso inverso a quello di chi, come la maggioranza allargata a IV e Azione, al Senato ha votato appunto l’abrogazione del reato di abuso d’ufficio. Lo ricordiamo ragazzo, il senatore del Movimento Cinque stelle che in questi giorni sta dando al Senato il suo appassionato contributo contro le riforme, sia pur ancora timide, del ministro Nordio.
Lo ricordiamo alla procura di Palermo con i suoi colleghi Ingroia e Tartaglia quando ebbero l’intuizione dell’inchiesta “Sistemi criminali”, “una sorta di tavolo dove siedono persone diverse…il politico, l’alto dirigente pubblico, l’imprenditore, il finanziere, il faccendiere, esponenti delle istituzioni e non di rado il portavoce della mafia”. Lo schema dell’inchiesta si ripeterà due, tre, quattro volte, invano. Fino a quando le fantasiose parole di Massimo Ciancimino consentiranno di imbastire il più grande processo-farsa della storia. La Trattativa tra lo Stato e la mafia, sconfessato dagli stessi giudici.
C’è tutto questo carico da novanta dietro certe posizioni politiche sulla giustizia. Una visione populistica che portò il procuratore generale di Palermo nel 2020, quando in piena emergenza covid il sovraffollamento delle carceri era drammatico più che mai, a scrivere sul Fatto quotidiano che il problema era che solo la fascia bassa della piramide sociale andava in galera, e che bisognava arrestare di più, ma i “colletti bianchi”. Sarà per quello che in questa ormai lunga fase di politica del pd modello Scarpinato, il senatore Alfredo Bazoli abbia invocato, per difendere la propria avanzata grillizzazione, l’articolo 3 della Costituzione, cioè il pilastro dell’uguaglianza tra i cittadini.
E non importa che il grido di dolore di sindaci e pubblici amministratori abbia ormai invano attraversato le mura del Nazareno. E che questo reato sia ormai una scoria, con il 90% delle assoluzioni documentate degli ultimi anni. La verità è che la gran parte della sinistra italiana, non solo il Pd, ma anche Fratoianni e il campione di esposti in procura, Angelo Bonelli, ha scelto la strada del cappello in mano davanti al potere dei pm, vecchi e nuovi, attivi o ex. E in definitiva del loro vero leader, che è Marco Travaglio. E quelli dell’altra strada, quella delle garanzie dello Stato di diritto, quella percorsa da Forza Italia finché riesce a trascinare tutta la maggioranza di governo, e dal coraggio di quelli come Matteo Renzi o Enrico Costa, devono sapere bene da dove partono e dove dovranno arrivare. Per esempio con la consapevolezza che a Firenze ci sono le inchieste su Renzi, ma anche quella su Dell’Utri. Per questo è giusto avere come interlocutore a contrario uno come Roberto Scarpinato. Ben scavato, vecchia talpa!