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«Perché l’odio e l’indifferenza verso “l’altro” non debbano più ripetersi e perché sia bandita ogni discriminazione». Tuona come un monito alla passata e futura memoria la frase incisa a chiare lettere su una targa commemorativa affissa nel Palazzo di Giustizia di Torino per ricordare i 54 avvocati ebrei torinesi esclusi dalla professione a causa delle discriminazioni razziali del regime fascista.
A 80 anni dalle Leggi razziali del 1939, il Consiglio dell’Ordine degli avvocati di Torino ha voluto rendere giustizia ai colleghi del foro cancellati dagli elenchi dell’Ordine promuovendo un’iniziativa dall’importante significato simbolico. La cerimonia di inaugurazione della targa, sulla quale si leggono i nomi dei 54, si è tenuta lo scorso mese nel corridoio del Palazzo di Giustizia alla presenza del Procuratore Generale Francesco Salluzzo, il Presidente del Tribunale Massimo Terzi, la Presidente dell'Ordine degli avvocati di Torino Simona Grabbi, e tutti i componenti del Consiglio dell'ordine.
Presente anche l’assessore Alberto Sacco insieme a numerosi rappresentanti delle forze dell’Ordine, convenuti all’evento nel corso del quale è stata presentata anche la mostra dal titolo “54 esclusi”, curata da Claudio Vercelli con il fotografo Alessandro Pession. «Siamo qui per fare ammenda per il silenzio passivo che tutti noi colleghi abbiamo purtroppo osservato», ha spiegato la Presidente Grabbi dopo aver “scoperto” la targa tra gli applausi e la commozione dei partecipanti. Se questa pagina dolente della nostra storia non può essere rimossa, «adesso dobbiamo avere il coraggio di ricordare i nostri 54 colleghi espulsi», ha concluso Grabbi.
«Per loro, avvocati, giovani o anziani, soli o con famiglie alle spalle, veniva a mancare non soltanto dalla sera alla mattina il lavoro, la professione, veniva a mancare il terreno sotto i piedi», ha spiegato nel suo intervento l’avvocato Giulio Disegni, vicepresidente dell’Unione delle Comunità Ebraiche italiane. «Iniziava quella che è stata definita la persecuzione dei diritti», ha aggiunto Disegni ricordando che tre degli avvocati espulsi furono deportati nei lager nazisti, a cui uno di questi non sopravvisse.
Storici e giuristi sono intervenuti all’evento per raccontare quella macchina di discriminazioni avviata con il Manifesto della Razza del 1938 e portata a compimento con le Leggi Razziali un anno dopo. A Torino, come nel resto d’Italia, i professionisti ebrei di quasi ogni settore della vita pubblica e civile non poterono più praticare: con una svolta che segnò l’inasprimento del regime, gli ebrei furono prima esclusi dalle scuole e università pubbliche, e via via in applicazione dei decreti per la difesa della razza del novembre del ’ 38, furono allontanati dal commercio, dalle banche e dalla vita scientifica e culturale.
La legge di “Disciplina dell’esercizio delle professioni” del 1939 sconvolse la vita di migliaia di italiani, che furono obbligati a denunciare la propria appartenenza alla “razza ebraica” entro 20 giorni dall’entrata in vigore della legge, pena l’arresto fino a un mese o l’ammenda. Anche l’avvocatura si conformò all’indifferenza della società civile, come spiega anche il Presidente del Cnf Andrea Mascherin nell’introduzione al volume “Razza e Ingiustizia”: «l’ingiustizia diventò diritto. E gli avvocati ne furono subito consapevoli» .