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Il giorno dopo le elezioni in Sicilia, i lividi e gli acciacchi, per la sconfitta Lega di Matteo Salvini, sono sempre più evidenti. E mentre i sondaggi lo vedono in calo, le piazze contestano sempre più spesso il ministro dell’Interno, che risponde nervoso dal palco invitando i poliziotti ad appuntare nomi e numeri di documento, a strappare striscioni di protesta dai balconi, come ieri a Brembate (“non sei il benvenuto”) o a requisire cellulari. Una situazione che il M5s ha cavalcato, decidendo di gettare sale sulle ferite dell’alleato, ormai in aperta polemica con tutti: M5s, Chiesa, Rai.
Il post di Di Maio. Il primo ad approfittare delle difficoltà non poteva essere che il leader grillino, deciso a sfruttare il successo siciliano e il nervosismo dell’alleato di governo per recuperare parte di quelle preferenze fagocitate dalla Lega dopo il 4 marzo. Così, osservando le contestazioni contro Lega e Forza Nuova a La Sapienza di migliaia di giovani in attesa del simbolo dell’accoglienza Domenico Lucano, Di Maio ha deciso di affondare il colpo. Con il solito metodo: un post su Facebook, dall’intento apertamente provocatorio. «Vedo e sento molto nervosismo in Italia», ha scritto il vicepremier, raccontando delle camionette delle Forze dell’ordine in piazza Aldo Moro, cosa che «non accadeva da tempo». «C'è una tensione sociale palpabile», ha aggiunto, elencando «sequestri di telefonini, persone segnalate, striscioni ritirati» e la divisione tra estremismi, nelle piazze, «che non credo faccia bene a nessuno». Il leader grillino ha invocato «equilibrio e dialogo, per un bene collettivo» e «superiore che si chiama Italia». Un appello «a tutte le forze politiche e anche all’interno del governo», invitati ad «occuparsi dei problemi degli italiani» per dare risposte e non inseguendo «ogni polemica». Insomma, la «politica deve fare cose». E Senza nominarlo mai, il riferimento a Salvini e alle sue “purghe” sembra chiaro.
La replica di Salvini. La risposta del leader del Carroccio non si è fatta attendere ed è stata più piccata che mai. Di fronte all'elenco di cose da fare snocciolato da Di Maio, l'alleato di governo gli ha ricordato che «l'unica novità negativa sono le decine di minacce di morte contro di me. Per il resto in Italia i reati sono in calo ovunque, per fortuna, fino a ridursi del 155 per cento nel 2019». Ma non solo: Salvini ha trovato il modo di colpire personalmente il ministro del Lavoro, ricordando, amareggiato, che «purtroppo sono in aumento i morti e gli infortuni sul lavoro (3,9 per cento nei primi tre mesi del 2019, ndr). La sicurezza degli italiani è aumentata, quella dei lavoratori purtroppo no».
La polemica con la Chiesa. La polemica, però, è stato il piatto forte di ieri per Salvini. Che ha parlato di azioni illegali e cattivi segnali facendo riferimento all’elemosiniere del Vaticano, Konrad Krajewski, che dopo aver riattaccato la corrente agli inquilini di un immobile occupato dell’Esquilino si è detto «disponibile a pagare» non solo a loro, ma anche per Salvini. E così, dopo i recenti scontri con Papa Francesco sul tema dei migranti, il conflitto tra il vicepremier e la Chiesa si è riacceso. Il tema, alla fine, è sempre lo stesso: le persone ai margini, migranti e cosiddetti abusivi. Salvini, dal bergamasco, ha provato la via della provocazione. «Ognuno faccia ciò che vuole - ha affermato ma sostenere l’illegalità non è mai un buon segnale. Ci sono tanti italiani che sono in difficoltà, ma le case non le occupano e le bollette le pagano. Se poi in Vaticano vogliono pagare le bollette agli italiani, ci diano un conto corrente che lo diffondiamo», ha concluso. Ed in effetti Krajewski si è detto disponibile a farlo. «Da quando è stato riattaccato il contatore, pago io: non c'è problema. Anzi, pagherò anche le sue di bollette», ha detto rispondendo al ministro. «Io faccio l'elemosiniere e mi preoccupo dei poveri, di quelle famiglie, dei bambini - ha aggiunto - Mi assumo tutta la responsabilità e non devo dare spiegazioni: ce ne sono poche. Stiamo parlando di vite umane». Ma l’elemosiniere ha cercato di smarcarsi dalle polemiche. «Non voglio che diventi una cosa politica», ha dichiarato, «l’ho fatto per i bambini».
Salvini, su Radio24, ha intanto rilanciato il piano di sgomberi. «La proprietà privata è sacra - ha evidenziato - a prescindere da qualche cardinale. Il palazzo in questione appartiene all’Inps». E ieri mattina è stato presentato un esposto contro ignoti alle forze dell'ordine da parte di Areti - che gestisce la distribuzione dell'energia nella Capitale per conto di Acea - «per la violazione dei sigilli della cabina elettrica di media tensione» dello stabile occupato. «Un atto dovuto» da parte del gruppo Acea, in quanto l’allaccio è abusivo, configurando, pertanto, il reato di furto d’energia. Ma intanto cresce la solidarietà nei confronti di Krajewski, con gli occupanti dello stabile pronti ad autodenunciarsi se «qualcuno dovesse prendersela col cardinale».
Lo scontro in Rai. Come se non bastasse, la giornata si è aperta con il taglio delle ultime tre puntate di “Che fuori che tempo che fa”, la striscia in seconda serata di Fabio Fazio. Il cui stipendio è sempre stato un pallino di Salvini. Ma la decisione di tagliare il programma non è stata condivisa dall’amministratore delegato Rai, Fabrizio Salini, che ha convocato la direttrice di Rai1 Teresa De Santis, per chiedere spiegazioni. Salini, al Festival della tv di Dogliani, ha difeso Fazio, definendolo «un talento», mentre il presidente Rai Marcello Foa ha rimarcato che «il suo stipendio è elevato», nonostante gli ottimi ascolti. E Salvini, sentendosi chiamato in causa, ha provato a scaricare le responsabilità. «Mipiacerebbe che Fazio fosse in onda a reti unificate 365 giorni all’anno - ha detto - perché più fa propaganda di sinistra, più gli italiani aprono gli occhi. Ma quanto meno con lo stipendio dimezzato».
Ancora migranti. E intanto, dopo le aperture del premier Giuseppe Conte e del ministro per gli Affari esteri Enzo Moavero Milanesi, Salvini ha annunciato di voler integrare il testo del Sicurezza bis con un fondo ad hoc presso la Farnesina, con l’obiettivo «di dare incentivi ai paesi che si dimostrano particolarmente collaborativi nel settore del rimpatrio dei clandestini», nell’ambito «di iniziative di cooperazione allo sviluppo di paesi terzi o in seno a intese bilaterali».