«Il Governo propone un decreto legge perché sarebbe di “straordinaria necessità e urgenza” impedire ai magistrati di partecipare al dibattito tra i giuristi, insieme ad avvocati e professori, sulle leggi. Se lo faranno dovranno poi astenersi dal trattare tutti i processi in cui dovesse essere applicata la legge di cui hanno discusso. Questo farà sì che i magistrati, esperti di un settore del diritto, non potranno più parlarne, facendo venire meno il confronto con gli altri giuristi; significherà impedire ai magistrati di spiegare le norme ai loro colleghi nella Scuola superiore della magistratura». 

È quanto scrive in documento il gruppo di Magistratura democratica, corrente progressista delle toghe, che con una dura nota commenta l’intenzione del governo di varare nel Consiglio dei Ministri di lunedì una nuova norma sul disciplinare della magistratura che amplierà le possibilità del ministro della Giustizia di esercitare l’azione disciplinare contro le toghe troppo esposte pubblicamente. «Oppure si deve pensare – prosegue Md – che questa norma sarà utilizzata per colpire chi non adotterà decisioni gradite a maggioranze politiche, andando a scavare con un dossieraggio, come è già avvenuto, per scoprire che in passato quel magistrato ha espresso un'opinione». 

Nel loro documento, le toghe di Md richiamano anche una frase di Piero Calamandrei: «Sempre, tra le tante sofferenze che attendono il giudice giusto vi è anche quella di sentirsi accusare, quando non è disposto a servire una fazione, di essere al servizio della fazione contraria».

A replicare è il presidente dei senatori di Forza Italia, Maurizio Gasparri: «Magistratura democratica lo ammette: vuole ergersi a potere unico dello Stato, potere giudiziario, potere legislativo e potere esecutivo. Infatti, contesta le norme proposte perché vuole partecipare alla discussione sulla formazione delle leggi. La magistratura deve applicare le leggi varate del Parlamento, invece Md le vuole anche scrivere o meglio dettare, per poi applicarle, semmai interpretandole a vantaggio degli amici. Ribadisco che l'atteggiamento di Magistratura Democratica è eversivo, incostituzionale, contro i principi fondamentali della Repubblica. Siamo di fronte ad una azione che mina alle basi lo Stato democratico. Magistratura Democratica è fuori dalla legge. Da qualche parte bisognerà accertarlo. Ne parleremo in Parlamento perché l'eversione va fermata a difesa dell'Istituzioni libere, democratiche e repubblicane minacciate dagli editti quotidiani di Magistratura Democratica. Quello odierno ancora più clamoroso di altri». 

«Le sentenze devono essere pronunciate 'nel nome del popolo italiano', non 'in-vece del popolo italiano'. Al magistrato non compete alcun ruolo politico: non può, né inventarsi la legge, né stravolgerla con bizzarre quanto fantasiose, e a volte stravaganti, interpretazioni», afferma invece Enrico Aimi, membro laico del Consiglio Superiore della Magistratura, intervenendo nel dibattito in corso sui rapporti tra magistratura e politica. «I personalissimi convincimenti del giudice o delle 'culture' di riferimento - prosegue - devono rimanere fuori dalle aule di giustizia. E' La nostra Costituzione a rimarcarlo, affidando un ruolo centrale al Parlamento rispetto all'intervento giudiziario, con il solo limite, invalicabile, della conformità delle leggi alla stessa Carta, la cui verifica non appartiene al singolo magistrato, o ai collegi giudicanti, ma alla Corte Costituzionale. Questo è un principio cardine del nostro ordinamento, uno di quelli su cui si fonda la separazione dei poteri. L'indipendenza della magistratura deve essere certamente difesa, ma va altresì preservato il buon funzionamento del nostro ordinamento democratico e costituzionale che pone il potere legislativo in una posizione inequivocabilmente di preminenza rispetto a quello giudiziario. Il primo e fondamentale articolo della nostra Carta Costituzionale stabilisce che “la sovranità appartiene al popolo”», sottolinea.