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Carlo Nordio, ministro della Giustizia
«Così si aprono troppi ambiti». Avrebbe risposto così la premier Giorgia Meloni sollecitata dal leader di Azione Carlo Calenda sul tema della separazione delle carriere durante l’incontro di due giorni fa, organizzato per discutere di riforme istituzionali. Il segnale che la giustizia fosse fuori dalla partita delle riforme si era capito già dalla nota di Palazzo Chigi di convocazione dei Ministri chiamati per il confronto coi partiti, dalla quale mancava il guardasigilli Carlo Nordio.
Eppure anche la separazione delle carriere tra magistrati requirenti e giudicanti andrebbe a smuovere gli equilibri della Costituzione. A ciò si aggiunge il fatto che in teoria le condizioni politiche, a differenza di quanto accadde nella scorsa legislatura, per procedere ad una riforma così importante come questa ci sono tutte. E invece la presidente del Consiglio non vuole mettere troppa carne al fuoco e preferisce strategicamente togliere dal tavolo un tema molto divisivo. Anche se era stata proprio lei a fine 2022 a rilanciare la questione nella conferenza stampa coi giornalisti; arrivò a sostenere che l’obiettivo sarebbe stato raggiunto addirittura nel giro di mesi. Ma ormai abbiamo imparato a capire che in pochi mesi può cambiare tutto. In realtà ufficialmente ci sono due strade da poter percorrere per arrivare a meta: quella parlamentare e quella governativa. La prima è quella della discussione di quattro proposte di legge (Azione, Lega, Forza Italia, Italia Viva) incardinate in commissione Affari costituzionali della Camera, tre delle quali ricalcano il testo della proposta di legge di iniziativa popolare dell’Unione camere penali.
Fonti parlamentari sostengono che Nazario Pagano, deputato di Forza Italia e presidente della commissione Affari costituzionali di Montecitorio, non sappia come gestire il dossier, che stia subendo pressioni per non mandare avanti i lavori. Ma con noi il diretto interessato smentisce: «Abbiamo fatto già delle audizioni. Poi abbiamo sospeso per dare priorità a questioni più urgenti ma contiamo di riprendere entro giugno la discussione. Smentisco categoricamente di subire pressioni sia per portare avanti i lavori sia per frenarli. Andremo avanti con l’istruttoria. Certo poi se ci sarà il voto, questa è un'altra questione».
L’altra strada da percorrere è quella annunciata dal vice ministro alla Giustizia Francesco Paolo Sisto all’assemblea dell’Unione camere penali qualche settimana fa: «Ho parlato con il ministro Nordio e posso dirvi che il ministero presenterà un disegno di legge governativo sulla separazione delle carriere nella seconda parte del 2023, probabilmente dopo l'estate». Ma trattandosi un ddl di natura costituzionale avrebbe bisogno del voto favorevole dei due terzi del Parlamento: risultato difficile da ottenere. Seguirebbe poi il referendum. Insomma una strada tortuosa che porta l’onorevole Enrico Costa, responsabile Giustizia di Azione, a esprimere un forte pessimismo: «Il governo, per accelerare il presidenzialismo, accantona la separazione delle carriere. Non ne parla più, non avanza una proposta, rallenta i lavori della commissione Affari costituzionali. Inoltre Fratelli d’Italia non propone come gli altri partiti di maggioranza e come il Terzo Polo una proposta di legge ad hoc.
Da via Arenula poi i magistrati distaccati fanno trapelare che si troverà il modo per annacquare in qualsiasi modo la riforma. È bene che l’Unione della camere penali ne sia consapevole, perché c’è una grande volontà di sabotare il progetto. L’idea di annunciare il ddl dopo l’estate rappresenta solo una tecnica dilatoria per fermare i lavori parlamentari». In pratica: non perdete tempo voi alla Camera che poi ci pensa il ministro. Ma in verità non sarà così. «Insomma - conclude Costa - questa riforma nessuno la vuole tranne noi e i penalisti, perché troppo invisa alla magistratura e troppo divisiva tra le stesse forze politiche che sorreggono il governo. Qualcuno abbia il coraggio di dirlo».