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Ora che Giuseppi incarna Giuseppe e non è più terzo tra i tre; ora che la terzietà è evaporata e l’equilibrismo è precipitato con la scomunica urbi& web di Salvini, ora che Conte è un uomo solo al comando, ma in compagnia di endorsement mondiali, di borsa e mercati e di uno spread ai minimi, è facile capire perché al premier incaricato non piaccia parlare di Conte Bis ma di Conte Due: un bis infatti prevede lo stesso spartito e il medesimo copione, la stessa folla plaudente.
Qui invece si risorge dalle ceneri con un cuore nuovo giallo e rosso, in un vestito blu sempre di sartoria, per qualcosa di diverso, nuovi amici e nemici, nuove ricette, ministri, promesse. Tra i fischi della destra post- fascio- sovranista asserragliata nel loggione, pronta a lanciare uova e verdure, ma ancora ferita e sconcertata dal suicidio imprevedibile e demenziale del Matteo- che- tutto- volle- e- nulla- strinse.
L’uomo mite e cauto, ora dovrà fare ricorso al carattere educato ma brutale che mostrò il 20 agosto in Parlamento perché ormai non prende ordini da nessuno, né da Di Maio né forse nemmeno dalla Grillo- Casaleggio che lo hanno scelto e lo devono sostenere. Non ha più l’alibi dei due vice incontrollabili e sfascisti ed è bersaglio del fuoco amico. I giapponesi nella giungla grillina non mancano, i guastatori sono all’opera, da Di Battista in giù, ma l’Era dei Vaffa deve tramontare e va sostituita – è la speranza – dalla competenza del buon governare, e la metamorfosi si annuncia lunga e complicata.
«Mi ripropongo di creare una squadra di lavoro che si dedichi incessantemente e con tutte le proprie competenze ed energie a offrire ai nostri figli l'opportunità di vivere in un Paese migliore», ha detto Conte inaugurando il tradizionale lungo elenco di cose bellissime da fare nell’anno che, miracolosamente, è rimasto per lui bellissimo, senza dimenticare un Mezzogiorno rigoglioso, impermeabile alla corruzione, una giustizia più equa ed efficiente; e soprattutto «dove le tasse le paghino tutti, ma proprio tutti, ma le paghino meno».
Il nodo è proprio questo qui, il rilancio dell’economia che passa per un’azione fiscale convincente, senza gli abbagli delle regalie e della beneficenza tipo reddito di cittadinanza, ma con una seria revisione delle aliquote e un abbassamento delle tasse a imprese e cittadini per far crescere un Pil fermo a zero.
Conte è stato sincero e non reticente: «Come sapete, ho vissuto già un'esperienza di governo. Vi confesso che la prospettiva di avviare una nuova esperienza, con una maggioranza diversa, mi ha sollevato più di un dubbio. Ho superato queste perplessità nella consapevolezza di avere cercato di operare sempre nell'interesse di tutti i cittadini. Nessuno escluso. Non sto dicendo che ci sono sempre riuscito. So però di avere sempre cercato di servire e rappresentare il mio Paese, anche all'estero, guardando solo al bene comune, e non a interessi di parte o di singole forze politiche. Questi principi e questi valori - che so essere stati apprezzati e condivisi da molti italiani - sono gli elementi di coerenza con cui intendo dar vita a questa nuova stagione e guidare questo governo».
Ha pronunciato parole poco gettonate dai Cinquestelle, «regole», «fedeltà ai valori», «Costituzione», «il primato della Persona», «rispetto delle Istituzioni». E la difesa «degli interessi nazionali, nel quadro di un multilateralismo efficace, fondato sulla nostra collocazione euro- atlantica e sulla integrazione europea». «Questo è il momento del coraggio, e della determinazione. Il coraggio di disegnare un Paese migliore. La determinazione di perseguire questo obiettivo, senza lasciarsi frenare dagli ostacoli. Di mio aggiungerò tanta passione, che mi sgorga naturale nel servire il Paese che amo». Conte ama la formula di un «nuovo umanesimo» che dovrebbe comprendere un limite alle risse e al fango nel ventilatore, il rifiuto del giustizialismo, un Paese solidale e garantista, e anche più umano verso i più deboli, di qualsiasi colore siano.