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Appena entra in Aula, poco prima di annunciare le proprie dimissioni, Giuseppe Conte stringe la mano a tutti i ministri e sottosegretari presenti tra banchi del governo. Per congedarsi dai leghisti però deve voltarsi, i rappresentati del Carroccio non siedono ai loro posti, “militarizzati” dai 5 Stelle, stanno in piedi alle spalle delle poltrone riservate ai membri del governo.
Gli unici esponenti con la spilletta di Alberto da Giussano sulla giacca rimasti a presidiare i loro ruoli sono il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti, e il ministro dell’Interno, Matteo Salvini. Anche se quest’ultimo invita Riccardo Fraccaro a cedergli il posto per poter rimanere alla destra del premier fino all’ultimo momento.
Conte stringe la mano anche a lui, col sorriso distaccato di chi sa che sta per pronunciare parole al vetriolo nei confronti dell’inquilino del Viminale. E così è. L’avvocato del popolo si presenta a Palazzo Madama per togliersi tutti i sassolini dalle scarpe che nell’ultimo anno ha dovuto tollerare in silenzio. «Sono qui per riferire in aula sulla crisi di governo innescata dalla dichiarazioni del ministro dell’Interno», mette subito in chiaro il capo del governo, prima di riferire della sua esperienza a Palazzo Chigi, nata sulla base della «trasparenza e del cambiamento».
Proprio per questo, dice Conte, «non posso permettere che questo passaggio istituzionale così rilevante possa consumarsi attraverso conciliaboli riservati, sui social o in dichiarazioni fatte per strada o in una piazza». Salvini capisce subito che trascorrerà un’ora sul “banco degli imputati” e comincia una lunga serie di smorfie di disappunto che scandiaranno ogni passaggio del discorso del premier. Ma il presidente del Consiglio non se ne cura. Riferisce in Senato perché è «l’unica sede in cui confronto pubblico può svolgersi è il Parlamento».
Il leader della Lega, dimostrando «scarsa sensibilità istituzionale e grave carenza di cultura costituzionale», ha voluto «perseguire interessi personali e di partito», inseguendo i sondaggi. Una decisione «oggettivamente grave», attacca ancora Conte. «Salvini ha disatteso l’impegno solenne» che era stato preso durante la formulazione del contratto di governo. I ministri pentastellati, a cominciare da
Luigi Di Maio, annuiscono. Dagli scranni del Carroccio, invece, le proteste cominciano a farsi sempre più rumorose. «Perchè aprire la crisi in pieno agosto quando era già grave l’insofferenza della Lega dopo le europee?», si chiede ancora Conte. Da Salvini è arrivata una «decisione già assunta da tempo» che ha portato l’Italia in una «vorticosa spirale di incertezza politica e instabilità finanziaria. Una decisione scaturita per opportunismo politico».
Ma il rischio, adesso, è «l'esercizio finanziario provvisorio», ammonisce il premier, applaudito anche dai banchi del Pd. È il segnale che il capo del Carroccio attendeva per poter gridare all’inciucio. E così fa: mentre i dem battono le mani, lui platealmente li indica, rivolgendosi ai suoi che urlano come fossero allo stadio. «Far votare i cittadini è l’essenza della democrazia», insiste Conte, interrotto questa volta dagli applausi ironici della Lega. Pausa.
Poi prosegue: «Sollecitarli a votare ogni anno è irresponsabile», sorride il primo ministro, chiedendo un nuovo applauso ai senatori leghisti che però non arriva. Ma la lunga arringa finale dell’avvocato non è finita: «Appare contraddittorio il comportamento di una forza politica che, pur dopo aver presentato una mozione di sfiducia al governo, non ritiri i propri ministri», spiega, giocando ancora con le contraddizioni del partito salviniano.
«Amici della Lega, per preparare e giustificare la scelta delle urne avete tentato di rappresentare maldestramente l’idea del governo del no, del non fare», argomenta. «Pur di battere questa falsa grancassa avete macchiato 14 mesi di intensa attività di governo». Elenca tutte le cose buone fatte sotto la sua guida negli ultimi 14 mesi senza mai parlare di immigrazione o di decreto sicurezza. E prima di annunciare «l’arresto dell’esperienza di governo», c’è ancora il tempoi per impallinare gli atteggiamenti autoritari dell’ex alleato.
«Caro ministro dell’Interno, caro Matteo, aprendo questa crisi di governo ti sei assunto una grande responsabilità davanti al Paese, hai chiesto pieni poteri e ancora di recente ti ho sentito invocare la piazza a tuo sostegno: questa tua concezione mi preoccupa. Nel nostro Paese le crisi di governo non si fanno nelle piazze, ma in Parlamento».
Infine, Conte mette in fila tutte le sgrammaticature istituzionali del capo della Lega: dai tavoli con le parti sociali convocate al Viminale alle mancate risposte sul Russia Gate, dall’incomprensibile no a Ursula von der Leyen all’ostentazione di simboli religiosi in pubblico che «rischia di offendere credenti e oscurare il principio di laicità». Salvini sembra sorpreso da tanto vigore. Conte, sollevato, ufficializza le dimissioni e sale al Colle. Il governo del cambiamento è formalmente caduto.