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«Deve risuonare nelle coscienze di ciascuno di noi il monito del Presidente della Repubblica a scongiurare che la persona ristretta in carcere viva in condizioni angosciose e disperanti, “indecorose per un Paese civile”, tali da costringerla a gesti estremi»: è un monito forte quello pronunciato dalla Prima presidente di Cassazione, Margherita Cassano, all’inaugurazione dell’Anno giudiziario.
In un momento in cui dal primo gennaio 2025 i suicidi negli istituti di pena sono già 9, la magistrata invita la politica a fare di più per fronteggiare quel sentimento che ha definito di “sgomento” nel constatare quante vite umane si sono tolte la vita mentre erano nella custodia dello Stato. Un altro capitolo della sua relazione è stato poi dedicato al carcere in generale. Nonostante «la natura di estrema ratio della detenzione in carcere, la valorizzazione delle misure alternative, l’estensione del divieto di retroattività della legge penale sfavorevole (art. 25, comma secondo, Cost.) anche alle norme sull’esecuzione della pena che hanno concreta incidenza sulla libertà personale del condannato, si assiste ad un progressivo aumento delle presenze in carcere».
Questo scenario - «sovraffollamento, insieme con il degrado materiale in cui versano taluni istituti penitenziari» per la prima magistrata d’Italia «rischia come osservato dalla Corte costituzionale e dalla Corte EDU – di sottoporre i detenuti ad una “prova d’intensità superiore all’inevitabile livello di sofferenza inerente alla detenzione”, rende assai difficile l’accesso alle misure trattamentali previste dall’ordinamento penitenziario in funzione di recupero, vanifica il rispetto della dignità della persona, crea i presupposti di possibili ricadute nel reato. In uno Stato democratico il carcere non può essere un luogo di mortificazione della dignità umana».
Lancia poi un vero allarme, sottovalutato dal Parlamento inerme dinanzi al fenomeno e restio a mettere in atto serie ed urgenti misure deflattive della popolazione carceraria: «A fronte di una capienza regolamentare di 51.312 posti, al 30 dicembre 2024, risultavano presenti 61.861 detenuti (di cui 2.698 donne e 19.694 stranieri) rispetto ai 56.196 del 2022. Di essi 46.232 sono condannati definitivi, 9.475 in attesa del primo giudizio e 5.839 condannati non definitivi». Si tratta per la Cassano «di una crescita preoccupante se si considera che non si è molto lontani dal numero di 66.000 persone ristrette in carcere che connotava la situazione carceraria all’epoca della sentenza della Cedu Torreggiani c/Italia dell’8 gennaio 2013 che ha condannato il nostro Paese per la violazione dell’art. 3 CEDU (divieto di trattamenti disumani e degradanti)».
Verso la fine è passata ad elencare i dati sull’arretrato: «L’obiettivo di riduzione del 95% dei procedimenti civili pendenti al 31 dicembre 2019, fissato dal PNRR, è stato conseguito e superato dalle Corti d’appello, che hanno abbattuto l’arretrato del 99,2%, mentre i Tribunali sono vicini al suo conseguimento, avendolo abbattuto del 92,4%». Per quanto concerne il settore penale «il disposition time si attesta, nell’anno giudiziario 2023-2024, per i Tribunali in 303 giorni (-2,3% rispetto al precedente periodo) e per le Corti d’appello in 623 giorni (- 9,6% rispetto al precedente periodo)».
La Corte di cassazione, a sua volta, «ha ridotto ulteriormente le pendenze del 30,3%». Da qui la stoccata a chi in questi mesi punta a delegittimare la magistratura, anche per giustificare la riforma della separazione delle carriere: «Questi dati restituiscono un’immagine della magistratura diversa da quella oggetto di abituale rappresentazione e posta a base di progetti riformatori. Una magistratura che, conscia delle sue responsabilità, cerca di assolvere al meglio i propri doveri con spirito di collaborazione, tensione ideale, impegno professionale, senso del limite e della misura, ascolto attento delle ragioni altrui nella convinzione che un confronto costruttivo costituisce un prezioso stimolo a migliorare».