Il seguito dell’inchiesta sulla strage di Via D’Amelio del programma di Rai3 “Far West”, condotto dal bravo Salvo Sottile, è stato molto importante perché, per la seconda volta in tv, si affrontano i fatti nudi e crudi. Emerge anche la bravura di giovani giornalisti che stanno affrontando aspetti scomodi e molto fastidiosi, visto che per la prima volta si vanno in qualche modo a mettere in discussione taluni ex togati. E si sa, si rischiano sempre delle conseguenze. L’unico neo della trasmissione è stato l’inseguimento dei familiari dell’ex superpoliziotto Arnaldo La Barbera, che ricorda molto da vicino lo stile di alcune trasmissioni televisive.

Da qualche settimana, Repubblica, in primis, ha iniziato una campagna stampa insinuando, o addirittura dando quasi per certo, che La Barbera abbia rubato l'agenda rossa di Paolo Borsellino. In fondo si va a sposare a occhi chiusi un troncone di indagine della Procura di Caltanissetta. Eppure il giornalismo dovrebbe utilizzare l'esercizio critico, cosa che purtroppo non attuò ai tempi di Vincenzo Scarantino, oppure più recentemente con il teorema trattativa Stato-mafia, o ancora con la surreale testimonianza di Salvatore Baiardo (come non ricordare Report che ha dato in pasto la sciocchezza dell’agenda rossa fotocopiata e distribuita ai boss mafiosi) o prendere per oro colato le dichiarazioni dell’ex guardia penitenziaria Pietro Riggio, poi decostruite dai giudici della corte d’Appello del processo trattativa.

L'agenda rossa di Borsellino aveva sicuramente una sua importanza. È oramai assodato che oltre a scrivere gli appuntamenti (più completi dell’agenda grigia dove ne trascriveva solo alcuni), sicuramente – come in fondo ha testimoniato anche l’ex maresciallo Carmelo Canale e lo ha ribadito a “Far West” - annotava appunti di indagini riservate. Ma non bisogna dimenticare che la borsa conteneva anche dei documenti, decisamente più importanti. Che fine hanno fatto? Una prova del suo contenuto ci proviene anche dalle famose audizioni al Csm a pochi giorni dalla strage del 19 luglio 1992. Due magistrati affermano che il fascicolo di Gaspare Mutolo era nella borsa di Borsellino e si trova tra le altre carte sequestrate. Forse è qui che si dovrebbe approfondire.

Sembrerebbe che il contenuto della borsa fosse ben conosciuto e che i documenti siano stati sequestrati. Da chi? In questura, la borsa arriverà molto probabilmente già semivuota, con il contenuto che poi verrà verbalizzato dal magistrato Fausto Cardella mesi dopo. E se tra le carte sequestrate c’era anche l’agenda rossa? D’altronde si incastra perfettamente con la testimonianza dell’allora magistrato Salvatore Pilato, citata nel libro di Vincenzo Ceruso “La strage. L’agenda rossa di Paolo Borsellino e i depistaggi di via D'Amelio” e riportata da “Far West”. Riportiamo il passaggio del dottor Pilato: «Sono stati apposti i sigilli alla stanza d’ufficio del procuratore Borsellino, dove era collocata un’agenda rossa che nella fase iniziale delle indagini è stata ritenuta l’agenda contenente gli appunti personali di natura riservata». Aggiungiamo che, come risulta dai nuovi verbali dei cinque poliziotti, l'ufficio di Borsellino era stato ispezionato il giorno stesso della strage dai magistrati di Palermo. E, come ha anche ribadito alla trasmissione di Rai3 il maresciallo Canale, il giorno dopo l’ufficio era stato ritrovato semivuoto. Questo è chiaramente un buco nero da sviscerare. Sicuramente ci sarà una spiegazione logica, nessuna “oscurità”, ma andrebbe chiarita.

Ma ritorniamo al poliziotto Arnaldo La Barbera. Senza alcun dubbio, è stato l'artefice della genesi del falso pentito Scarantino, che fece accusare persone totalmente estranee alla strage. Purtroppo non è la prima volta che accade una vergogna del genere. Conosciamo bene la recente vicenda del pastore sardo Beniamino Zuncheddu, che finalmente lascia il carcere dopo 32 anni grazie a l’avvocato Mauro Trogu il quale - come l'avvocata Rosalba De Gregorio - si è battuto facendo scoperchiare il depistaggio ordito da alcuni funzionari di polizia. Purtroppo, in questo Paese, non è una eccezione. Ma pensare che per Via D’Amelio il depistaggio sia stato raffinato è una balla. Nessuna “mente raffinatissima”. Il depistaggio è stato gravissimo, ma ordito in maniera grossolana. L’avvocata Rosalba De Gregorio, già nei primissimi processi, aveva mostrato le palesi incongruenze del finto pentito Scarantino.

Un “pentito” costruito a tavolino, con le buone o con le cattive, per dare risposte false alla fase preparatoria della strage, come il furto della macchina da imbottire di esplosivo e i partecipanti alla sua preparazione. Scarantino viene istruito con particolari veri che solo gli investigatori potevano conoscere, ma riempie i buchi dell’indagine inserendo gli unici mafiosi che conosceva, quelli del suo quartiere, alcuni suoi parenti. Già era emerso nei primi processi che Scarantino mentiva. Era di una evidenza imbarazzante. Nella sentenza del Quater si constata come i pubblici ministeri si siano tenuti ben lontani dal metodo utilizzato da Giovanni Falcone per riscontrare le parole dei pentiti. Non è certo un attestato di professionalità per quei pm, a cominciare dal loro capo Giovanni Tinebra per finire al più giovane di tutti, Nino Di Matteo. Così come non ne esce bene nemmeno la procura di Palermo che all’epoca fece una conferenza stampa in difesa di La Barbera. Tutti possono sbagliare, prendere una cantonata. Anche i pubblici ministeri non ne sono immuni. Però ci vorrebbe l’umiltà di ammetterlo. Il depistaggio più “raffinato” (e infatti dopo 31 anni ancora non trova risoluzione) è stato quello avvenuto nel luglio del 1992. Una cosa diversa e, a parere di chi scrive, slegata da quello del 1994 relativo alla gestione di Scarantino. Mentre quest’ultimo era per dare in pasto all’opinione pubblica il colpevole e magari ottenere attestati di stima e salire di grado sulla pelle di Borsellino, il primo era volto alla copertura del movente, o meglio quello dove il Giudice stava mettendo il naso, anche all’interno del cosiddetto “nido di vipere”.

Il dramma è che, per quanto riguarda il contenuto della borsa e le ispezioni nell’ufficio di Borsellino, i magistrati scompaiono. Non esistono. Nessuno ha chiesto loro gli atti di ispezione, l’apposizione dei sigilli dell’ufficio in Procura, eventuali verbali relativi all’ispezione. A nessuno di loro si chiede conto e ragione su come abbiano gestito il controllo del luogo della strage. Eppure chi era in servizio quel giorno ne ha la responsabilità. Che senso ha averla, se poi ricade tutto esclusivamente ai poliziotti? Sappiamo che quel giorno c’erano quasi tutti i magistrati. Si può avere più chiarezza, oppure è lesa maestà anche in questo caso?

Se ci basiamo sugli elementi che si hanno a disposizione, si può benissimo ipotizzare che la borsa di Borsellino è giunta in questura nell’ufficio di Arnaldo La Barbera già semivuota. Il contenuto è quello che poi verrà verbalizzato dall’allora magistrato nisseno Fausto Cardella. Qualche oggetto, costume, tre fogli dei quali ancora non si conosce il contenuto e l’agenda telefonica a parte. Quella che poi verrà restituita alla famiglia di Borsellino. La stessa agenda che Lucia, la figlia del Giudice, consegnerà a Chiara Colosimo, presidente della commissione antimafia. Bisognerebbe chiedere infatti ai magistrati viventi come e dove abbiano sequestrato le carte di Borsellino, tra i quali il fascicolo di Mutolo che era però contenuto all’interno della borsa. Magari è avvenuto nell'ufficio di Borsellino visto che l'ispezione da loro effettuata è durata fino a tarda notte? Come si concilia con il fatto che il giorno dopo i figli di Borsellino hanno ritrovato l’ufficio semivuoto? Si vuole la verità, oppure prendersela con i morti affidandosi a testimonianze forse più surreali di quelle di un Massimo Ciancimino? Il metodo Falcone ce lo siamo dimenticato di nuovo?